Ricordo perfettamente il giorno in cui ho comprato questo libro di Erri De Luca. Ero in fila al supermercato sbronza di stanchezza e in modo distratto e quasi assente, bramavo il momento in cui avrei appoggiato la testa sul cuscino.
Vicino al box informazioni c’era uno scaffale pieno di libri e all’improvviso l’adrenalina ha ricominciato a circolare nel mio corpo. Non ho esitato un minuto. Mi sono defilata velocemente dalla fila e ho fatto quello che amo di più: “scegliere un libro”.
“A grandezza naturale” di Erri De Luca eri lì in prima fila, desideroso di essere preso e messo nel carrello. Nel retro della copertina c’era scritto:
« Da te, dovevo dirgli, da te ho preso e lasciato, restando figlio tuo, cranio da cranio, libri, vino e montagne. »
L’intimità e la fragilità di quella frase, lasciava trapelare una storia fatta di radici profonde e molti “nonostante tutto”. Acquistandolo ero consapevole di aver scelto di nuovo un libro pieno di domande.
Secondo Sigmund Freud, il rapporto tra padre e figlio si basa sulla rivalità. All’inizio un padre è un modello da imitare, quasi un eroe. Crescendo si trasforma in un ostacolo da superare, per affermare il proprio ruolo sociale e la propria indipendenza.
Questa definizione viene ampiamente documentata e personalizzata dall’autore Erri De Luca, in un libro breve, ma traboccante di emozioni.
La recensione di A grandezza naturale di Erri De Luca
Genitori e figli, rappresentati come capi della stessa corda, vengono raccontati attraverso dei brevi ritratti distanti nella linea del tempo, ma uniti da un vincolo ancestrale.
Ogni storia analizza la frattura, il rinnegamento e a volte anche ingratitudine, di due generazioni messe a confronto, attraverso secoli di dissapori.
È fatale il momento in cui guardandoti allo specchio, in quel riflesso di uomo adulto non riconosci solo te stesso, ma le tue origini.
« Nelle tempeste affettive, dentro un bicchiere d’acqua o nell’oceano, non si diventa più grandi né minori di chi ci ha preceduto. Ci si trova alla fine in un ritratto a grandezza naturale. »
Nelle prime pagine del libro, Erri De Luca dichiara di non aver avuto figli, ritrovandosi nell’eterna condizione di figlio. Nelle storie che cita può immedesimarsi solo per metà, condividendo i propri passi solo con un capo della corda.
« Ne sono estraneo a metà: senza essere padre, sono rimasto necessariamente figlio. Non ho sperimentato la responsabilità, la protezione, la prova di educare. Non cambio comportamento con un giovane o un anziano. Da figlio li considero alla pari, dei contemporanei. Da lettore e da scrittore lo divento delle storie che ho davanti. »
Partendo dalla sua esperienza personale, Erri De Luca parla del suo rapporto con il padre e del bisogno di allontanarsi dalle sue origini borghesi. Il padre si aspettava una carriera da statale e lui per affermare la sua libertà, sceglieva lavori umili e malpagati.
« Ho fatto in tempo a mettergli in mano il mio primo libro stampato. Era ormai cieco e morì poco dopo. »
La narrazione continua con una storia tratta dalla scrittura sacra. Dio per verificare l’obbedienza di Abramo, gli ordina di sacrificare suo figlio Isacco, il quale per non rivoltarsi al padre, lo aiuta a farsi legare con passiva rassegnazione. Quel nodo per l’autore, è lì a rappresentare uno strappo irreparabile ed un gesto impossibile da cancellare.
Diventando genitori è possibile dimenticare e perdonare, sciogliendo i nodi del passato?
Struggente è il racconto di Marc Chagall, il quale vive con il rimorso di aver rinnegato le proprie origini. Nel ritratto che raffigura suo padre a grandezza naturale, fatto a memoria e a distanza, le sue mani non compaiono. Sono le mani di un venditore di aringhe e Chagall si vergogna di quell’odore. In preda al dolore, dipinge di rosso il contorno dei suoi occhi. Finalmente ha compreso il significato della parola umiltà.
Diventando genitore è possibile perdonarsi per gli errori commessi come figli?
Neppure la figlia di vecchio nazista è riuscita a cancellare le proprie origini. Ha cercato un modo per mettersi al riparo, nel tentativo di non tramandare l’odio paterno che le circolava nelle vene. Ha scelto il male minore: rimanergli accanto.
È giusto rimanere legati al vincolo di figli….”nonostante tutto”?
“Letto da me”, questo libro tenta di ridurre ad un concetto base il legame tra genitori e figli. Secondo il suo punto di vista non esiste scioglimento per l’akedà (legatura), essa è definitiva. È un legame invisibile che ti lega a vita, perché volenti o nolenti, prima o poi la memoria aprirà dei cassetti e basterà un profumo o una musica, per ritornare sulle orme lasciate da bambino. Secondo l’autore, che sia un addio tardivo o ricongiungimento terreno, non ci si può dissociare dal proprio sangue.
Come direbbero le mie radici: Prima o poi tornano tutti alla base…
“Letto da me” questo libro è un’occasione.
Tutti prima o poi ci ritroviamo a confrontarci con un ritratto a grandezza naturale.