Quali sono gli elementi che fanno di un video un fenomeno virale? Considerato che negli Stati Uniti dal 2009 ad oggi gli investimenti in pubblicità online sono quadruplicati (da 1 a 4 mld $, fonte eMarketer), non stupisce che oggi la questione sia di primaria importanza per i brand che vogliono investire in questo senso.
La risposta potrebbe risiedere nella ricerca svolta da Thales S. Teixeira, assistant professor alla HBS, che ha identificato quali elementi spingono i viewers a condividere i video con amici e parenti, rendendoli virali.
Secondo lo studio di Texeira, presentato lo scorso giugno al Cannes Lions International Advertising Festival, l’elemento chiave risiederebbe nel processo di Advertising Symbiosis: se il viewer trae giovamento dalla condivisione del video, questo potrebbe diventare virale.
In particolare, le campagne virali di successo richiederebbero quattro passaggi: attrarre l’attenzione dei viewers, mantenere la loro attenzione, portarli a condividere il video con altri, e persuaderli. Attraverso una serie di esperimenti Teixeira ha dimostrato che provocare sorpresa era il miglior modo di attrarre l’attenzione, mentre suscitare allegria era il modo migliore di mantenerla. Di conseguenza le pubblicità che più catturavano l’attenzione erano quelle che iniziavano sorprendendo lo spettatore e che proseguivano facendolo sorridere.
Ma catturare l’attenzione non garantisce la condivisione del video: “E’ emerso che mentre invogliare le persone a guardare una pubblicità dipende dalle emozioni, fare in modo che la condividano dipende dalla personalità di chi la condivide”. Dopo aver analizzato il comportamento dei partecipanti all’esperimento, Teixeira ha scoperto che la principale motivazione dello sharing virale era l’egocentrismo: il desidero del viewer di ottenere un guadagno personale dalla condivisione del video. In questo caso il guadagno consiste nel miglioramento della propria reputazione presso familiari ed amici.
Questo spinge i brand a concepire dei video che non si limitano a far apparire bene il prodotto ma, se condivisi, fanno apparire bene anche il viewer. Teixeira chiama questa idea Advertising Symbiosis perché sia il brand che il viewer traggono entrambi beneficio dall’atto dello sharing.
Analogamente il professore Jonah Berger della Wharton School nel suo saggio Contagious uscito quest’anno, spiega che i messaggi che catturano l’attenzione e che vengono condivisi rispondono ad almeno uno di sei criteri: condividiamo ciò che ci fa apparire bene, ciò che ricordiamo, ciò che ci emoziona, ciò che ci consente di esibire alcuni nostri comportamenti, ciò che è pratico ed utile, ciò che racconta una storia. Anche in questo caso quindi il beneficio scaturito dalla condivisione, che consiste appunto nell’apparire bene o nell’esibire comportamenti virtuosi, assume primaria importanza.
Sembrerebbe quindi che il modo migliore per garantire la condivisione dei video virali sia riuscire a sfruttare quei meccanismi che rendono le piattaforme social delle vetrine per gli user, che in cambio della condivisione del video vedono restituirsi un’immagine migliorata di sé.
Flavia Lazzaro