Negli anni ’90 mai avremmo potuto immaginare quanto fosse acida la Cornovaglia, come l’urlo di Munch potesse finire nella bocca di una vecchietta intrappolata da filari di unità microabitative, trappole della periferia. Che i sogni potessero diventare incubi anche se abitati da pupazzi di stoffa. Intuizioni tradotte in frequenza ed estetica. Si parlava di elettronica intelligente come se fosse possibile che il suono digitale appunto e le sue frequenze potessero in qualche modo stimolare il cervello al di là di una grancassa che concentrava tutto sui piedi le reiterazioni in 4/4. D’altronde se voglio ballare è proprio perché non voglio pensare, giusto? Ma non è detto.
Il maestro di Cornovaglia sappiamo quanto abbia saputo ridefinire in questi anni il senso del suono intrappolandolo e stratificandolo in articolatissime costruzioni e architetture sonore in grado di allargare lo spettro di coscienza melodico, ridefinire il proprio arsenale timbrico di un immaginario in grado di sintetizzare la Raving London con il jazz. Anche Aphex sempre più Miles gloriosus on the corner piuttosto che on the sunny side of the street!
Tanto più cyber quanto più techno. Creando esperienze fisiche, maneggiando risposte psichiche. Body and Soul. C’è poco da fare. We are the Robots. E lo siamo ancora oggi che accogliamo il ritorno dopo 13 anni di apparente silenzio di Aphex Twin. Ma attenzione siamo robots nei condizionamenti merceologiche, nelle risposte predfinite da affinamenti pavloviani del controllo sociale. In questo senso ogni nuova mossa sonora è il tentativo di in indicare una plausibile via di liberazione, un nuovo modo di riprendere coscienza. A colori oppure in sfumature di grigio.
Syro e una manciata di lettere e numeri, tracce titolate come stelle di oscure costellazioni. Il solito aphex, suoni datati? Qui si fa la storia o si balla. Lo stile è il suo che ci vogliamo fare ragazzi. Lamentarsi di Aphex che fa un disco nel suo stile? Ma per carità. Dopo 13 anni, qualcosa di nuovo. Le ultime sue esternazioni del 2001 con l’eccezione degli ep Analord del 2005 ci avevano lasciato ad un punto in cui la strutturazione ritmica e timbrica ridisegnavano i confini di uno spazio in cui come tante falene trovavamo verità nel caotico scontrarsi delle nostre reazioni alla luce della sua lampadina. Questo suo nuovo lavoro, manierista, antagonista, caustico, prendetelo come volete mette a rapporto ciò che lui ha saputo creare in termini di suoni, irriverenza ritmica e magistralità nell’arte della produzione. Ma sopratutto melodia come in XMAS_EVET10. Il contrappasso anima-le della sua duplice natura Aisatsana e papat4 [pineal mix]. Questa la chiave di volta. Nella dilatazione quanto nella contrazione. Il suo sigillo, il suo suono marcato a fuoco nel riverbero come nella perfetta architettura delle sue sculture sonore, magmatiche e coerenti pur nell’ipotesi di un delirio tutto da disegnare nelle frequenze. La sua nobile alchimia, al pari di grandi epigoni come Mike Paradinas e Luke Vibert, trascende il piombo affermandone il valore della sua perfezione nella mutazione di stato, quella dell’oro.. Il suono è d’annata e dannato quanto basta per rendere autentico il suo tentativo di rivedere le stelle attraverso stratificazioni e stati di suono magistralmente strutturati e arrangiati. Lui stesso ha ricordato come alcune delle tracce di questo nuovo lavoro attingano a materiali precedenti.
Aphex Twin con Syro nel 2014 tira le proprie somme estetiche e segna un confine. Per chi come me di quegli anni può in qualche modo avere una certa nostalgia questo nuovo lavoro è una piena rassicurazione ma al tempo stesso la sensazione che ci lascia, ed è una buona sensazione, è quella per la quale la costruzione di un nuovo linguaggio come ogni rivoluzione non può prescindere da quanto finora costruito e stilisticamente ereditato E quello che si evidenzia traccia dopo traccia è proprio questo. Che nonostante ci troviamo di fronte a sonorità già note, conosciute, il solito -Aphex Twin come direbbe qualcuno, la sensazione è quella di trovarci in nuovi spazi. La stanza è già cambiata, per dirla tutta. Nonostante cerchiamo, appigliandoci alle sonorità conosciute di eludere le difficoltà che un nuovo spazio e la sua comprensione comportano. Adattare la propria coscienza ai nuovi scenari e alle mutazioni in atto, facendo tesoro del proprio linguaggio è quanto Richard D. James ha messo miracolosamente in atto.
Luca Perini