La nostra Chiara non sbaglia un colpo: questo pezzo è stato scritto ieri, lo pubblichiamo oggi a ridosso della cerimonia di premiazione tenutasi al Dolby Theatre di Los Angeles nella notte, nel corso della quale Birdman e Alejandro Gonzalez Inarritu hanno trionfato. Miglior film, miglior regia, migliore sceneggiatura originale e migliore fotografia. Chapeau.
Birdman è Riggan Thompson, la star a cui Hollywood ha dato tutto, denaro, fama, amanti, una ex moglie risentita e una figlia in rehab. L’uomo uccello che salva il mondo riempie le sale, ingrassa il box office, ma finisce inesorabilmente per restare attaccato al corpo del suo interprete tormentandone l’anima e affollandone la mente di fantasmi. Per questo, Riggan tenta la rivalsa, spinto dal bisogno bulimico di affermazione. Sceglie la nobiltà del teatro, l’aria intellettuale e snob della Grande Mela, un gruppo di attori disfunzionali ma pieni di talento, accetta la ghigliottina della critica newyorchese per portare sulla scena l’adattamento del romanzo Di cosa parliamo, quando parliamo d’amore del saggista e poeta americano Raymond Carver, l’uomo per cui anni prima aveva deciso di fare l’attore. E fanculo i supereroi.
Perché è questo oggi il cinema, un trionfo di x-men ed eroine in tute di latex, un interminabile Comic Con per adolescenti che sforna prequel, reboot e pop corn. Alejandro Gonzalez Iñarritu non va per il sottile mentre si prende gioco dell’apatia degli Studios, scegliendo un cast di interpreti brillanti, ma con un curriculum da supereroi di serie A. Dal protagonista, un immenso Michael Keaton (in odore di Oscar), che uomo uccello lo è stato davvero, interpretando per due volte il Batman di Tim Burton, a Edward Norton, L’Incredibile Hulk, che però rifiutò la stessa parte per The Avengers, fino a Emma Stone, nei panni della dolce fidanzatina di Peter Parker in The Amazing Spider – Man 1 e 2.
Finzione e verità, celebrità e talento, amore e ammirazione. Con queste categorie il regista messicano tesse la trama di una storia profondamente umana, divertente e malinconica, raccontandoci una società (la stessa narrata da Carver nei suoi romanzi) emotivamente sfilacciata, incline ai disastri, abitata di solitudini e fortemente ego-diretta, in cui si esiste solo filtrati dalle piazze virtuali dei social network. È un disastro culturale sponsorizzato, quello di cui siamo inconsapevoli spettatori, un mondo squallido, crudele e stupido. Potessimo nasconderci anche noi dentro un costume da uomo uccello, volare via, saltare giù da una finestra e liberarci degli inutili fardelli che ci portiamo dietro per compiacere gli altri e noi stessi.
Birdman è uno spettacolo pirotecnico e paradossale, un film esagerato, chiassoso, ma intimista, un labirinto emotivo in cui interno ed esterno hanno la stessa consistenza asfittica. Siamo strattonati tra claustrofobici corridoi di un teatro a Broadway e ampie strade affollate di gente e inondate di insegne al neon, costretti a stare in bilico su un cornicione, a planare sui taxi in corsa, a sentire dialoghi interminabili, a prenderci in faccia sputi che sanno di whiskey e sigarette. Restiamo in apnea mentre il cuore sembra andare in aritmia o, forse, quello che sentiamo, fino allo stomaco, è il tamburo anarchico di Antonio Sanchez, jazzista. Inseguiti dalla poliritmia della batteria i protagonisti entrano ed escono dalla scena, addosso a loro Iñarritu incolla una camera onnipresente, che pare muoversi senza stacchi, arrampicandosi sui ponteggi, insinuandosi tra le poltrone del teatro, dentro i camerini, tra i vestiti di scena, sui marciapiedi e per le scale buie, in un lunghissimo, ma solo apparente, piano sequenza.
9 nomination agli Academy Awards 2015 per un film così sfacciatamente anti hollywoodiano, verboso e pieno di virtuosismi da primo della classe, quando il primo della classe è anche un regista straniero, sono davvero cosa rara. Più rara dell’imprevedibile verità di un celebre uomo uccello che sapeva volare davvero.