Tra i momenti più critici (e strategici) nella stesura di un piano di comunicazione, c’è sicuramente quello della definizione del budget. Quali sono i metodi più efficaci? Qual è la differenza tra spesa e investimento? Su questo ed altro abbiamo intervistato il prof. Enrico Cogno, docente presso LUISS per l’Executive MBA.
Quanto è essenziale nella strategia di un’azienda definire gli obiettivi di una campagna?
Una corretta strategia è redatta in base agli obiettivi, quindi una strategia basata sul nulla si commenta da sè. E’ dal dopoguerra che si insiste su questo concetto; nel 1968 venne creato l’acronimo DAGMAR (R. H. Colley, National Advertising Association): Define Advertising Goal for Measured Advertising Result. Se non si definiscono gli obiettivi pubblicitari non si possono misurare I risultati. Oggi, in epoca di comunicazione trasversale e transmediale, è più complesso definire gli obiettivi rispetto a quei tempi, ma è ancora più necessario.
Cos’è che rende la definizione del budget per la comunicazione una decisione così delicata e complessa?
Molti fattori: per intanto nessun investimento può essere definito al di fuori dello studio approfondito del contesto nel quale l’organizzazione agisce. Esistono enormi differenze, ad esempio, tra il Business to Business e il Business to Consumer, tra un budget per l’Above the Line e il Below the Line, tra un momento di Domanda Primaria (per un prodotto apri-pista) o un momento di Domanda Selettiva, per campagne tese a creare preferenza di marca, solo per citare alcuni elementi. Entrano in questo ambito una infinità di fattori: la reputazione del brand, la dimensione del mercato, la fase in cui il prodotto in questione si trova. Ad esempio, in quale momento avviene l’investimento? Nella fase Pioneristica, per creare il bisogno del prodotto? Nella fase Competitiva, per superare la concorrenza? Nella fase di ricordo, per la protezione dai rivali? Insomma, una serie così ampia di fattori che rende il computo del budget un’operazione cruciale.
Qual è il metodo più utilizzato per stabilire un budget?
Il più diffuso dei metodi (almeno in oltre il 90% dei casi) è quello della disponibilità economica: l’azienda spende ciò che ritiene sostenibile per quella campagna. D’altro canto risponde ad una certa logica: se uno dispone, poniamo, di 600.000 euro per la comunicazione, non sembra sensato spendere di più, visto che non dispone di una somma maggiore. Ma questo metodo fa correre il rischio di non riuscire a superare le soglie di investimento che in determinati casi sono indispensabili, vanificando quindi la spesa. E’ un po’ come se ci presentasse dal medico dicendo: “Dottore, io dispongo di 30 euro, quindi mi diagnostichi una malattia che richieda una terapia non più cara della mia disponibilità”. O, se vogliamo, è come mettersi in viaggio con 50 euro di benzina e voler raggiungere una località che richiede un consumo di 300 euro. Sembra strano, ma lo capiscono in pochi. Una inifinità di budget sono calcolati in modo grossolano, conseguenti solo alla disponibilità. Una grande quantità di denaro è pertanto buttata in investimenti insufficienti.
Quali sono gli errori più comunemente commessi nella definizione del budget?
Uno l’abbiamo appena citato, aiutato dal fatto che quasi sempre sono gli account che per prima cosa domandano: qual è il budget?
Un approccio serio sarebbe quello di poter disporre di un brief scritto, ben redatto, in base al quale redigere un piano di comunicazione. In base agli obiettivi, al target group e alla conseguente strategia media, l’agenzia dovrebbe proporre il budget necessario per il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Il metodo migliore è quello di procedure con un mix che fonda diverse tecniche, come ad esempio l’analisi del budget dell’anno trascorso, l’analisi del rapporto storico della “redemption”, l’analisi dei budget della concorrenza e il calcolo percentuale sulle vendite previste per il prossimo anno.
Spendere di più per una campagna la rende automaticamente più efficiente?
Certo che no, perchè non conta solo la copertura e la frequenza della strategia media, ma conto molto anche la creatività della campagna e la corretta scelta dei mezzi.
Quali sono i maggiori “problemi” di comunicazione che la marca si trova ad affrontare nel mercato di oggi?
Direi l’infedeltà del target group, l’estrema atomizzazione dei media e la presenza di una tale quantità di offerte da rendere spaesato qualunque acquirente.
ENRICO COGNO [ Torino, 28 aprile 1937] sociologo, giornalista, formatore, risiede a Roma dal 1966. E’ stato responsabile della comunicazione di gruppi internazionali e formatore presso le maggiori organizzazioni (vedi i dettagli su: Enrico Cogno.it). Attualmente è: docente presso LUISS per l’Executive MBA; docente dell’area Creatività e Comunicazione Pubblicitaria (Facoltà di Scienze della Comunicazione) presso UTIU – Università Telematica Internazionale UniNettuno; Membro della Faculty di CONSEL (Gruppo ELIS); Direttore del Master in Communication Management del Centrostu di Giornalismo e Comunicazione; Direttore Responsabile di LUXORY, periodico dell’eccellenza del Made in Italy. E’ stato vice presidente della FERPI (Federazione Italiana Relazioni Pubbliche) ed è consulente e formatore dell’Ordine del Dottori Commercialisti di Roma.