Nel 2022 sono passati giusto cinquant’anni dal grande successo di American Pie, una canzone uscita alla fine del 1971 del cantautore americano Don McLean, che in mezzo secolo non ha fatto in tempo a essere dimenticata, anzi, è entrata a pieno titolo nella cultura pop e in quella “alta”, e continua a parlarci da lontano nello spazio e nel tempo, come succede alle opere che contano.
Lo diciamo subito: sì, c’è anche un film del 1999 con lo stesso titolo (che ha originato un franchise anche troppo lungo), una commedia giovanile con uso di sesso, ma in definitiva il tema è sempre la perdita dell’innocenza.
E la perdita dell’innocenza per Don McLean aveva una data precisa, il 3 febbraio 1959, il giorno della morte di Buddy Holly, Ritchie Valens e The Big Bopper in un incidente aereo, il giorno che in American Pie viene definito, con folgorante intuizione “the day the music died”, espressione che è entrata subito nel linguaggio corrente e non ne è più uscita.
Per un popolo giovane come quello americano la morte tragica di tre musicisti rock’n’roll poteva ben essere un trauma epocale, e in qualche misura lo fu, ma American Pie ne amplificò l’eco, appena 12 anni dopo, in modo pressoché definitivo.
Una canzone di otto minuti e mezzo, che partiva da quel giorno e poi scorrazzava tra avvenimenti e personaggi del decennio successivo con allusioni piuttosto impressionistiche che hanno aperto la strada a numerose interpretazioni, anche a livello di corsi universitari.
Beninteso, se la sarebbero filata in pochi se non avesse avuto per quegli otto minuti e mezzo un ritmo folk-rock spigliato e un ritornello decisamente accattivante, ma quella volta per Don McLean tutto funzionò perfettamente.
Lui non era uno dei cantautori importanti di quell’era, non era il “nuovo Dylan”, figura mitologica che tutti cercavano di individuare, in un periodo in cui sembrava che Bob Dylan avesse ormai poco da dire.
E a parte American Pie l’unica sua canzone davvero memorabile fu la bella “Vincent”, dedicata a Van Gogh, presente sullo stesso album, di cui non riuscì mai più a ripetere il successo.
Sulla creazione e successiva fortuna di American Pie c’è un buon documentario uscito nell’estate 2022 su Paramount+, che si intitola, inevitabilmente, The Day the Music Died: The Story of Don McLean’s
American Pie. Un po’ ripetitivo dal punto di vista musicale perché per un’ora e mezza si ascolta quasi solo la stessa canzone, ma fatto molto bene e piuttosto esauriente.
https://www.imdb.com/title/tt12992162/
Insomma, un cantautore come tanti, in un momento di grazia unico scrisse la Great American Song, una pietra miliare della cultura di quegli anni e dei successivi, come a pochissimi è mai riuscito.
A parte Dylan, certo, che come abbiamo scoperto in seguito nel 1972 era tutt’altro che finito.E però Dylan deve avergliela un po’ invidiata, quella canzone. Il primo sospetto nasce per il modo un po’ acido in cui aveva commentato un verso di American Pie dove comparivano un King e un Jester, un re e un giullare, e tutti ritennero che fossero ovviamente Elvis Presley e Bob Dylan, circostanza smentita da Don McLean in maniera tanto decisa quanto poco convincente.
La mia idea personale è che Dylan abbia continuato a pensarci, ogni tanto, ad American Pie.
Nel frattempo l’aveva anche cantata Madonna, controvoglia ma con grande fortuna.
E bizzarramente il figlio regista Jesse Dylan aveva diretto uno dei seguiti del film American Pie, una di quelle cose che non c’entrano niente, ma vieni a saperlo e ricominci a pensarci..
Finché alla fine di Marzo 2020, con mezzo mondo in lockdown, arrivò a sorpresa una canzone grande e importante di quello che era ormai anche un Nobel per la letteratura.
Fu ascoltata con grande attenzione, non solo perché eravamo tutti chiusi in casa.
Si chiamava Murder Most Foul, durava diciassette minuti (curiosamente il doppio di American Pie), e collocava la
perdita dell’innocenza a Dallas, il 22 novembre 1963, il giorno dell’assassinio di John Fitzgerald Kennedy.
E poi, poi c’è dentro un’enciclopedia di sessant’anni di politica, cultura, musica, molto più vasta e approfondita di American Pie, ma meno orecchiabile.
E questo forse ci dice che a distanza di tempo e di spazio anche le canzoni, come diceva Borges per i libri, si parlano tra loro.