Il concetto di società della trasparenza assedia in maniera centrale il dibattito pubblico degli ultimi anni. La trasparenza viene sbandierata in ambito politico, rivendicata dal popolo quale garante del controllo di ogni forma di corruzione, invocata dall’opinione pubblica in riferimento alla libertà d’informazione. Questo termine è diventato un vero mito positivo, totalizzando il dibattito e alimentando la teoria di una società capace di eliminare ogni negatività, una società del positivo.
Nel suo nuovo saggio “La società della trasparenza”, Byung-Chul Han, un filosofo e teorico tedesco-coreano tra i più affermati degli ultimi anni, professore di Filosofia alla Universität der Künste di Berlino – s’interroga sulla portata culturale e sull’idealizzazione della trasparenza nella nostra società. Egli evidenzia come questo concetto sia alla radice di molte forme di invasività e controllo silenzioso ai quali siamo sottoposti, spesso senza accorgercene.
La società del positivo: un mito distorto
Secondo Byung-Chul Han, la società del positivo è un falso mito. In questa società, azioni, tempo, cose e immagini vengono appiattiti e livellati, trasformati in elementi positivi, misurabili e controllabili nel presente ottimizzato. La società della trasparenza diviene così un inferno dell’Uguale, che mette in atto una coercizione sistemica di tutti i processi sociali, mutandoli e standardizzandoli sotto l’obbligo di trasparenza, eliminando l’Altro o l’Estraneo, uniformando l’uomo e rendendolo un elemento funzionale di un sistema nel quale l’Uguale risponde all’Uguale.
La comunicazione e l’informazione sono in primo luogo gli scenari dove avviene la mitizzazione di questa sorta di nuovo illuminismo. La proliferazione d’informazioni, l’accumulo costante di notizie in tempo reale, e il bombardamento mediatico che ne consegue, sono caratteristiche peculiari dell’era 2.0 non necessariamente positive. Un aumento delle informazioni non porta necessariamente a scelte migliori, sostiene Byung- Chul Han, anzi, la massa d’informazione atrofizza la capacità superiore di giudizio, negando e non tollerando lacune nell’informazione.
La negatività è bandita dalla trasparenza, il giudizio negativo limita la comunicazione e perciò non è ammissibile. La società del positivo si nasconde dietro al “Mi Piace” di Facebook. Il giudizio comune non contempla la possibilità dell’opzione “Non mi Piace” ed evita ogni forma di negatività che potrebbe arrestare la comunicazione, limitandola. Il sistema economico non può permettersi interruzioni nei canali comunicativi, poiché la velocità e lo scambio d’informazioni ne detta il suo valore. Di conseguenza, in questa logica un “like” ha più valore economico di un “dislike”. Perfino l’amore e la sfera dei sentimenti si piegano alla positività, semplificati in stati di eccitazione privi di complessità e conseguenze, ridotti a forme di consumo e comfort.
Anche il mondo della politica, nota Byung-Chul Han, soprattutto negli ultimi anni, sta cavalcando l’onda del consenso tramite un’ostentata trasparenza a tutti i costi. Questo, sostanzialmente, non fa altro che paralizzarla. Così la teatrocrazia ha rimpiazzato l’azione strategica fondata sulla sfera segreta della politica, che ora si manifesta attraverso partiti senza colore e dibattiti in streaming. I partiti così diventano semplici gruppi di opinione, incapaci di articolare una qualsiasi volontà politica e produrre nuove coordinate sociali. La dimensione pubblica lascia il posto alla pubblicizzazione della persona.
La trappola dei social media
Byung-Chul Han sofferma il focus della sua riflessione sulla rete e le dinamiche dei social media e dei motori di ricerca personalizzati, che creerebbero uno spazio dal quale l’esterno è eliminato, proponendo al partecipante esclusivamente frammenti di mondo che gli piacciono. La rete diventa una sfera intima e di benessere, in cui l’intimità viene abolita e sollevata a una sorta di formula psicologica della trasparenza. Si crede che esponendo i sentimenti intimi ed emozioni si possa raggiungere la trasparenza dell’anima.
Questa sovraesposizione del sé, quest’auto annullamento dell’intimità, questo volersi mettere in vetrina davanti a tutti ha per Byung-Chul Han degli inquietanti punti di contatti con il Panopticon di Bentham, la prigione ideale dove tutti sono sotto osservazione, sempre. Secondo Byung-Chul Han, la società contemporanea ha reinventato la sorveglianza attraverso il panottico digitale. Gli utenti, ignari prigionieri, si connettono e comunicano tra di loro, esponendosi e spogliandosi, contribuendo attivamente alla sua costruzione e mantenimento. Ciò crea una società pervasa da una sorta di oscenità, in cui l’esposizione e l’esibizione di ogni aspetto dell’esistenza diventano la norma.
La fragilità morale e il richiamo alla trasparenza
La società della trasparenza, in questo modo, diventa una società del controllo. Quindi, le persone si denudano non sotto costrizione esterna ma in conseguenza di un bisogno auto-prodotto. Ciascuno espone l’altro alla visibilità e al controllo in una sorta di auto sfruttamento (in) consapevole. Il detenuto del panottico digitale è al tempo stesso carnefice e vittima.
È la fiducia la vera grande assente della nostra società, ci dice Byung-Chul Han in conclusione: il sospetto e la sfiducia fanno si che ci si auto esponga al controllo. Il crescente bisogno di trasparenza è causato dalla fragilità morale della società, dalla decadenza incessante di valori quali l’onestà e la sincerità, resi oggi insignificanti.
Dopo il tramonto della moralità, la trasparenza è oggi il nuovo imperativo sociale.
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