Sono arrivato alla undicesima Festa del Cinema di Roma (13-23 ottobre 2016) che era già iniziata da tre giorni, ma comunque ho realizzato un bel bottino di proiezioni. Ho visto diciotto film tra i quali ho avuto la fortuna di beccare anche quello che poi sarebbe risultato il vincitore. A pieno titolo, secondo me, nonostante non sia perfetto.
Una storia vera come una favola
“In the heart of the forests of North Americas, far from civilization, a father…”: nel cuore delle foreste del Nord America, lontano dalla civiltà, un padre… Inizia così la sinossi predisposta dall’ufficio stampa della produzione di Captain Fantastic, il film che a Roma ha vinto il premio più ambito, quello del pubblico.
Sembra l’inizio di una favola avventurosa e lo è. Soprattutto nel senso dell’avventura esistenziale più grande: essere genitori.
Ben e la moglie hanno fatto una scelta drastica: crescere i figli nel cuore di una foresta, lontano dalla città e dai suoi riti sociali. Ben è padre, amico, istruttore e coach dei suoi sei figli, li allena e li mette costantemente alla prova dal punto di vista psicofisico. Li fa cacciare con frecce e lame per procurarsi il cibo, scalare impegnative pareti, insegna ad auto medicarsi in caso di incidenti, a studiare le lingue straniere, a esercitarsi su testi impegnativi della letteratura, a interpretare la Storia, a saper discutere del Bill of Rights. E a mangiare pane e Marx; oltre al fegato crudo degli animali uccisi, rifiutando le ipocrisie della società dei consumi e le sue spire.
Le scene iniziali spiazzano, soprattutto quelli che pensavano di essere andati a vedere il film di un supereroe edulcorato e si trovano davanti a scene di caccia selvaggia, tribale e cruda (alla lettera). Ma ben presto quella strana banda familiare mostrerà la forza dei sentimenti che li lega: l’amore familiare, l’amore per la cultura, l’amore per la verità sempre. Anche quando le vicende della vita, nelle quali irrompe la morte, costringono i sette ad affrontare il mondo che hanno chiuso fuori dalla loro magica foresta.
Il suicidio della moglie, da tempo gravemente malata, costringe infatti Ben a fare i conti con il mondo dei normali, quelli che la carne la comprano nei supermercati e la cuociono prima di mangiarla, che una moglie morta vorrebbero seppellirla con il rito del funerale e non cremarla e disperdere le ceneri nel… Water. Il viaggio verso la città, con momenti esilaranti, altri rabbiosi, altri teneri farà emergere crepe, disaccordi, dolori e aspettative dei sei figli. Costringerà Ben a farsi domande e mettere, per la prima volta, in discussione la sua filosofia educativa. A chiedersi se, alla fine, sia giusto non celebrare il Natale e sostituirlo con una festa per il compleanno di Noam Chomsky: sì proprio lui, il professore di linguistica del MIT, il comunicatore contro, da anni coscienza critica della società occidentale.
Un film che sa farsi amare
La regia come la sceneggiatura sono di Matt Ross, più conosciuto come attore, e soltanto alla sua seconda o terza regia: non un capolavoro il suo, ma un film che sa farsi amare (che poi, alla fine, è quello che conta) e… Farsi votare.
È un film che ha diversi momenti emozionanti, grazie a una colonna sonora sempre suadente e puntuale e soprattutto grazie a un cast perfetto, a cominciare dai sei coprotagonisti.
Sei giovanissimi attori, convincenti e incisivi, che disegnano in maniera scandita, utilizzando tutti i registri dall’ironico al drammatico, altrettante diverse personalità degli adulti che saranno domani.
E poi c’è lui Viggo Mortensen, che rende credibile un personaggio incredibile come Ben. Personaggio a doppia lettura: despota o compagno? Il giorno della prima alla Festa del Cinema, Ben-Viggo ha mandato in estasi erotica adolescenti inquiete, milf ammiccanti e insospettabili nonne. O meglio nonne insospettabili di poco sommessi commenti sui feromoni in libera uscita del prestante danese americano; prontissime all’applauso a scena aperta e alla ola da curva sud. Entusiasmo al quale hanno concorso da par loro anche i fan gay dell’attore, con notevole creatività terminologica anche di una certa eleganza.
I critici e il cinema indie
Un film indie è un film prodotto senza l’intervento di una grande casa di produzione: diciamo un film indipendente, come questo Captain Fantastic appunto.
Al cinema indie i critici si accostano, a mio parere, quasi sempre con un qualche pre-giudizio ideologico, di segno opposto a seconda delle convinzioni di base. Quindi non meravigliatevi se troverete giudizi molto positivi della grande maggioranza del pubblico e contrastanti invece per quanto riguarda la critica. I meno convinti dei critici accusano il film di essere un prodotto fin troppo furbo che sfrutta alcuni trend: il ritorno del mito del buon selvaggio, la nostalgia hippie, i bambini accattivanti, il facile dileggio della società consumistica, la contrapposizione tra la profondità del mondo analogico e la superficialità del mondo digitale.
Sì, c’è anche tutto questo ma è coerente con la storia e quindi, più che strumentale, è funzionale alla narrazione. I difetti li vedo piuttosto in qualche incoerenza della sceneggiatura. La madre, che non si vede mai se non in foto, risulta un personaggio disegnato in maniera contraddittoria e perfino ambigua. Alcune divagazioni narrative sono forse inutili o quantomeno eccessive.
Resta un film da vedere: sarà nelle sale italiane dai primi di dicembre. Meglio se in compagnia. Meglio ancora se con la famiglia: perché è un film capace di parlare a diverse generazioni. Soprattutto perché è il caso di farsi alcune domande. Per esempio: noi nel film a chi assomigliamo, all’apocalittica famiglia di Ben o a tutti gli altri integrati? E la risposta non ci crea, per caso, un… Qualche disagio?
Con buona pace di Moretti, per una volta tanto: il dibattito, sì!
Cover Credit: Wilson Webb / Bleecker Street