Si lascia vedere piacevolmente l’ultimo film di Tornatore.
È la storia di una relazione tra un famoso e maturo astrofisico con una studentessa fuori corso, stuntgirl di professione. Un amore reso possibile, paradossalmente, dalla lontananza: i due si “messaggiano” tanto ma s’incontrano poco anche se, quando accade, intensamente. Lei ignora che lui sta per morire; lui predispone la continuazione del dialogo per il “dopo”, utilizzando le magie della tecnologia e anche qualche accenno di reincarnazione (in un cane, in una foglia, in un uccello…).
Il film è un continuo equilibrismo tra un registro narrativo, quasi strappalacrime, al quale si contrappone la rarefazione delle atmosfere prevalentemente lacustri e nordiche e le prospettive sconfinate della volta celeste che ridimensionano le vicende terrene.
I due protagonisti (Jeremy Irons e Olga Kurylenko) ce la mettono tutta per essere credibili e ci riescono, assistiti da una colonna sonora (di Ennio Morricone) tanto discreta quanto efficace. Anche la bellezza particolare e carnale di lei aiuta molto, pure a superare alcune semplificazioni della sceneggiatura: gli aspetti psicoanalitici della stuntgirl sono un po’ troppo da manuale di risoluzione dei sensi di colpa.
Se da un lato potrebbe essere la versione filmica de “La lontananza” di Modugno, con recupero dei registri melodrammatici di un rapporto a due rivisitati in chiave tecnologica, dall’altro spazia in maniera stimolante su più di una “corrispondenza”: passione e fisicità, sentimenti e memoria, volta celeste e calotta cranica, amore del partner e amore materno, paesaggio e stati d’animo, presenza e assenza.
Ho detto all’inizio che è un film che si vede piacevolmente fino alla fine: certo non un film indimenticabile, forse neanche tra i più memorabili di Tornatore, ma secondo me da vedere. Perché spinge ad alzare lo sguardo dal contingente e a intervallare le piccole cose della quotidianità con il senso d’immensità della volta celeste, a mescolare passioni terrene e amore cosmico, a porsi quelle domande di profondità che ci vengono spontanee quando riusciamo finalmente a guardare in alto. Ci perdiamo dietro a una stella cadente che vediamo con i nostri occhi ma con la consapevolezza che è successo tanto, tanto tempo prima e ci sentiamo particella microscopica di una vicenda infinita. O di un progetto infinito, per i credenti.
È un film anche di immagini molto scandite, quindi di grande qualità della fotografia: il volto della Kurylenko che piange sotto la doccia è di una bellezza che buca lo schermo. Una manciata di secondi che, da sola, ne giustifica la visione.