Tutto è vanità! Una mela è una mela, ma certe mele sono più mele delle altre.
Nel 2023 compie 55 anni, che non è una cifra tonda ma fa la sua figura, la Apple Records. I Beatles la fondano poiché avevano troppi soldi e non sapevano dove metterli (per pagare un po’ meno tasse, soprattutto). Nel 1968, quindi otto anni prima che Steve Jobs e Steve Wozniak pensassero che Apple fosse un bel nome per una società.
Il logo standard della Apple è una mela verde qualità Granny Smith che sulla facciata A dei dischi è intera, mentre sulla facciata B è tagliata a metà. La mela verde tornò anche nelle ristampe in CD dei Beatles negli anni novanta, dopo le prime uscite in CD su etichetta Parlophone che non avevano il logo. In effetti la Apple Records, etichetta discografica, era solo una della svariate ramificazioni di Apple Corps Limited, una corporation multimediale che si occupava di elettronica, editoria, cinema e commercio al dettaglio. La famosa Apple Boutique, che ebbe però breve vita.
Questo la distingueva dalle Vanity Labels, che già esistevano. Le etichette discografiche con relativa autonomia che rimanevano sussidiarie di una più grande casa discografica, ma venivano “concesse” agli artisti di un qualche rilievo, più che altro per tenerseli buoni. In altre parole, le star avevano un’etichetta loro, però distribuita dalla casa madre, e potevano scritturare qualche altro gruppo o solista. Per esempio, i Beach Boys avevano già la loro Brother Records, che però non ha lasciato tracce rilevanti. Oppure Frank Zappa aveva la Bizarre, poi anche la Straight. Questo, però, non gli impedì di venire comunque ai ferri corti con i discografici che gli avevano concesso queste libertà. Parecchi anni dopo accadde anche a Prince con l’etichetta Paisley Park. E ben pochi ricordano che cosa abbia fatto la Swan Song al di là dei Led Zeppelin, o la Manticore a parte Emerson Lake & Palmer.
Le altre scoperte della Apple Records
La Apple Records per qualche anno fece un bel lavoro di scoperta, produzione e promozione di artisti. Il massimo successo arrivò con la cantante gallese Mary Hopkin, e la sua versione di una canzone russa, nientemeno, intitolata Those Were The Days. Il produttore era Paul McCartney, il brano ebbe un successo mondiale, e una versione italiana cantata da Gigliola Cinquetti. Negli USA arrivò al secondo posto nella classifica dei singoli di Billboard, al numero uno c’era Hey Jude dei Beatles, sempre su etichetta Apple Records.
Ma le scoperte della Apple Records sono state tante. Tra queste meritano di essere ricordati The Iveys, poi Badfinger, che potrebbero essere considerati il miglior gruppo di power pop mai esistito. Purtroppo competono anche per la band più sfortunata di tutti i tempi. Dopo essere stati truffati da manager molto spregiudicati, ben due dei componenti della band si impiccarono, a distanza di anni.
In Day After Day, George Harrison era il produttore, e suonava la chitarra slide, molto riconoscibile. Ma la massima gratitudine di Harrison per gli artisti Apple Records deriva probabilmente dal fatto che un giovane cantautore americano di nome James Taylor debuttò proprio con l’etichetta dei Beatles, e sul suo disco c’era una canzone intitolata Something In The Way She Moves.
E George Harrison pensò correttamente che “Something in the way she moves” fosse un bell’incipit anche per una canzone diversa. Fu sempre George a sviluppare più degli altri un sincero affetto per i ragazzi e le ragazze che si andavano a piazzare tutti i giorni sui gradini della Apple Corps, al numero 3 di Savile Row. Li ribattezzò Apple Scruffs (gli straccioni della Apple, diciamo). Dopo lo scioglimento del gruppo, dedicò loro una canzone sul suo capolavoro All Things Must Pass.
La musica di Apple Records: Oltre i Beatles
Il ramo dell’attività che durò di meno fu la Apple Boutique di Baker Street (John Lennon non voleva fosse usato il termine boutique, ma tutti la chiamavano così). Un negozio di abbigliamento e oggettistica trendy, diremmo oggi, ma quello sì, aperto per pura vanità, e infatti chiuse i battenti dopo meno di un anno.
La musica invece continuò a girare attorno alla mela Granny Smith dell’etichetta. A parte l’asset fondamentale, gli ultimi dischi dei Beatles, e tutti quelli dei primi anni da solisti dei quattro, ci sarebbero altre cose da ricordare. I dischi del grande Billy Preston, per breve tempo vero quinto Beatle, la già leggendaria Ronnie Spector delle Ronettes, che per sua fortuna aveva lasciato il geniale ma pericoloso marito Phil Spector, e altri ancora. Mi piace ricordare uno degli artisti Apple Records della prima ora, Jackie Lomax, che aveva già una carriera musicale alle spalle, ma piuttosto priva di interesse. Nel 1968 George Harrison gli diede una sua canzone davvero eccellente. La scrisse durante il famoso viaggio in India dei Beatles, gliela produsse e ci suonò, insieme a Paul, Ringo, e già che c’erano Eric Clapton e il pianista Nicky Hopkins.
Purtroppo per Lomax, Sour Milk Sea uscì pressoché in contemporanea con Hey Jude e Those Were The Days. Questo ne limitò parecchio il successo commerciale, ma è diventata una canzone piuttosto di culto. La si può recuperare, con le altre uscite più importanti (e a volte bizzarre) su una bella antologia uscita nel 2010, Come and Get It: The Best of Apple Records.