In questi giorni ha fatto scalpore la seguente notizia: il Dipartimento del Commercio americano, nel diffondere i dati sull’andamento positivo del PIL (che loro chiamano GDP – Gross Domestic Product) ha indicato che questi dati sono stati favoriti (oltre che dalla produzione industriale in crescita superiore alle aspettative degli analisti di Wall Street) dalla revisione contabile avviata dall’amministrazione statunitense per «ricalcolare» il PIL.
In sostanza è stato incluso nel calcolo anche il potenziale economico di opere d’ingegno come film, serie tv, design e altre forme d’arte.
In parole più semplici, con questa revisione statistica, si potranno anche misurare i possibili incassi derivanti dal contributo della creatività.
Si è valutato che l’operazione possa generare 400 miliardi di dollari (circa 300 miliardi di euro) di PIL in più. E così, alla fine, l’indicatore darà segnali un po’ più positivi rispetto a prima, ma non solo perché è ripartito il motore dello sviluppo, bensì anche perché si è deciso di misurare ciò che prima esisteva e non era calcolato.
Non è una rivoluzione economica, ma un cambiamento culturale, un nuovo approccio che considera i beni immateriali centrali per la crescita delle economie più avanzate.
Quanto vale concretamente la creatività, in termini di business? Da tempo si sostiene che, come tutti gli asset aziendali che richiedono investimenti, anche la creatività deve avere un suo riscontro economico. Adobe ha commissionato a Forrester Consulting uno studio per calcolare il dividendo creativo e verificare quanto la creatività abbia un ruolo nei risultati commerciali ed economici di un’azienda. La ricerca è stata condotta intervistando 324 manager di 300 aziende e agenzie globali che operano in diversi settori merceologici.
Secondo l’82% degli intervistati, nel mercato attuale c’è una correlazione diretta fra la creatività e i risultati di business. Lo studio afferma, infatti, che le aziende promotrici di creatività registrano una crescita di fatturato superiore a quella dei propri competitor. Il 58% delle aziende che investe in creatività ha dichiarato di avere incrementato il fatturato del 10% nel 2013, contro solo il 20% di quelle meno creative. Inoltre, le imprese creative hanno il 50% in più di probabilità di raggiungere una posizione dominante sul mercato e una market share più elevata dei propri concorrenti.
Un ambiente di lavoro poco conflittuale favorisce la creatività. Non a caso il 69% delle aziende creative ha ottenuto premi e riconoscimenti come migliori aziende dove lavorare, al contrario di quelle non creative, che si possono fregiare di tali riconoscimenti solo nella misura del 27%. È interessante notare, dice lo studio, come, nonostante la creatività sia percepita quale una caratteristica che porta valore al business, il 61% dei manager pensa che la propria azienda non sia creativa. La maggioranza (51%) ritiene che sia non allineata con le aziende creative, il 10% dichiara che le procedure sono opposte a quelle ritenute creative e solo l’11% vede una similitudine fra i processi della propria azienda e quelli delle organizzazioni riconosciute per essere creative.
Per l’Italia, nazione alla quale la creatività e lo spirito innovativo non mancano, la valorizzazione di questa risorsa è una grande opportunità.