In una lettera a suo figlio di 11 anni, Albert Einstein si entusiasma alle sue prime lezioni di pianoforte, “Ecco il modo per imparare di più, quando fai qualcosa con tale passione che non ti accorgi del tempo che passa”. Un invito a raccogliere gli stimoli che l’osservazione delle piccole cose sa dare, si trova anche in una lettera datata 1928 del pittore Jackson Pollock a suo figlio Leroy: “Il segreto del successo è nel concentrarsi sui propri interessi, interesse nella vita, nello sport, nella natura, negli insetti, negli uccelli, nei fiori, nelle foglie”. Sono tante e affascinanti le testimonianze epistolari di padri “celebri” in cui poter distillare la loro visione della realtà e la sintesi della loro filosofia di vita, che comprensibilmente cercano di tramandare alla propria prole.
Più raramente si è messo l’accento sulle debolezze o stravaganze dei padri, sui meno edificanti egoismi o momenti di basso orgoglio paterno. Per farlo, ovviamente occorreva una buona dose di humour e il mezzo adatto.
Ci ha pensato il fumettista canadese Guy Delisle, che da qualche anno si è trasferito a Montpellier, in Francia, con tutta la famiglia.
E’ conosciuto ai più per i suoi splendidi reportage su carta: Cronache Birmane, Pyongyang, Shenzen, oltre al più recente Cronache di Gerusalemme, con cui è stato premiato al Festival internazionale di Angouleme nel 2012, l’equivalente della Palma d’Oro per il fumetto. “Diario del cattivo papà” (Rizzoli Lizard, traduzione di Giovanni Zucca), è una serie giunta al terzo volume e tradotta in una dozzina di lingue in cui Delisle racconta il suo particolare rapporto con i figli.
Dimenticate per un attimo gli insegnamenti montessoriani e i princìpi educativi più classici. Da buon anglosassone (anche se francofono), Delisle abbraccia con decisione la “pedagogia del rischio”, e alimenta così una sequenza esilarante in cui il padre è spesso più infantile dei suoi stessi figli, cercando di imporre i suoi gusti, o esibendo una destrezza non sempre impeccabile.
La storia viaggia leggera attraverso episodi di quotidianità, tracciati con una essenziale ed elegante “ligne claire”, il segno che rese famoso Hergè, l’autore di Tin Tin.
Delisle ha divorato in gioventù classici del fumetto come Asterix e i Puffi, oltre al capolavoro Maus (5) di Art Spiegelmann, che lo ha sicuramente ispirato nel modo di calare la realtà nei toni narrativi del fumetto.
Chi ha già letto le storie di Delisle conosce bene la sua la sua attitudine a raccontare la quotidianità attraverso una lente speciale, con cui guardare la realtà scandendola con adeguata leggerezza. Dopo una lunga serie di viaggi e di acclamati reportage a fumetti, Delisle ha preferito raccontare il suo privato, scegliendo alcuni divertenti quadretti familiari in cui viene messo continuamente in imbarazzo, tra situazioni scivolose e domande imbarazzanti dei suoi due figli, Louis di 9 anni e Alice di 6 anni.
Afferma lo stesso Delisle in un’intervista: “Il grande vantaggio di essere un autore di fumetti è che questo linguaggio possiede un valore fondamentale, ti consente una grande capacità di sintesi. O meglio, ti obbliga a svilupparla, perché devi esprimere tutto in poche vignette.”
Lo stile grafico essenziale si presta bene alla complessità del tema affrontato: come educare i propri figli, quali valori trasmettergli? Delisle si guarda bene dal rispondere a queste domande e racconta un’altra storia, molto più divertente: quella di un padre un po’ sgangherato e non sempre con la risposta pronta, ma che riesce a trasmettere bene ai suoi figli (e ai lettori), il valore più importante, quello dell’auto-ironia. Da leggere sorridendo o da regalare ai futuri papà.