“È un film troppo gay per Hollywood!”, per questa ragione (bizzarro non lo fosse anche I segreti di Brokeback Mountain di Ang Lee) Dietro i candelabri è stato prodotto dall’HBO – tra le emittenti americane via cavo più importanti – e trasmesso per la prima volta in TV. Nessuno tra le dorate colline californiane ha avuto il coraggio e la lungimiranza di produrlo, nonostante il nome altisonante di Steven Soderbergh che pure alle major ha portato pubblico e incassi.
Wladziv Valentino Liberace è stato un pianista e uno degli showman di maggior fama tra gli anni 50 e 70 in un’America ubriaca di baby boom, benessere e televisione. Un’America rampante, ma profondamente conformista e puritana. Lee, come si faceva chiamare, è appariscente come un’insegna di Las Vegas, cotonato – “and lots of hair like Liberace”, cantavano le Chordettes in Mr. Sandman -luminoso, esagerato, coperto di pelliccia, lunghi mantelli dorati, anelli, collane, diamanti; è barocco come il candelabro sul suo piano mentre ammiccando verso la telecamera flirta con il pubblico, fatto perlopiù di casalinghe disperate e sognanti. Prima di Elton John, prima di Jerry Lee Lewis, prima dei Beatles, prima dello show business, c’era lui.
Muore nel 1987 a 68 anni per complicazioni legate all’Aids. Su di lui Scott Thorson, autista, guardia del corpo, amico, figlio, amante, costruisce la biografia Dietro i candelabri. La scandalosa vita di Valentino Liberace, il più grande showman di tutti i tempi, da cui il film omonimo di Soderbergh è tratto.
Scott ha 17 anni appena quando l’amore per Lee lo travolge, trascinandolo per quasi 5 anni in un inferno di luci, tradimenti, menzogne, droga e trasfigurazioni fisiche. Quella relazione intensa e sconveniente rimase sempre segreta, nascosta dietro finte liaison costruite ad arte, quintali di cerone e dichiarazioni pubbliche; persino in un’aula di tribunale Liberace negherà ostinatamente il proprio orientamento sessuale. “Se i miei fan dovessero scoprire che sono gay e malato di AIDS, sarebbe l’unica cosa che ricorderebbero di me” diceva ai propri amici e collaboratori, mostrando un attaccamento folle e allo stesso tempo profondamente malinconico alla sua immagine pubblica.
La pellicola di Soderbergh, forse l’ultima della sua carriera, racconta la relazione amorosa e tormentata tra Lee e Scott, il circo eccentrico nel quale il giovane viene trascinato dapprima come principale attrazione e poi come vecchio clown da rimpiazzare, l’ascesa e il declino di un artista – un genio per alcuni, un mediocre pianista per la maggior parte dei critici – intrappolato tra miniature di pianoforti, ritratti, colonne di marmo, specchi e tanti, troppi, segreti.
La storia richiama alla mente la depravazione e la follia narrata da Kenneth Anger in Hollywood Babilonia, il mondo dietro i candelabri dove le ombre sono giganti che divorano l’anima e l’annegano in bottiglie del miglior champagne e schiuma di idromassaggio, dove l’applauso del pubblico pagante non riesce a coprire il rumore assordante della solitudine, dove si è immortali fino al prossimo spettacolo, fino alla prossima star.
Michael Douglas e Matt Damon, straordinari tanto da essere entrambi candidati ai Golden Globe 2014, vestono rispettivamente i panni extralusso di Sua Maestà Liberace e quelli attillati di Scott Thorson. Soderbergh si limita, invece, a rappresentare una vita talmente incredibile da raccontarsi da sola. Appare di tanto in tanto, firmando movimenti di macchina nevrotici cui ci ha abituato già da Sex, Lies and Videotape e che ci ricordano che quello che stiamo guardando è tutto tranne che un film per la tv, almeno nella sua tradizionale accezione.
Dietro i candelabri non è una pellicola “gay”, piuttosto è la storia di un’assenza profonda che i due protagonisti tentano invano di colmare come possono, è il racconto di una paura terribilmente umana, quella di essere abbandonati, dimenticati, rimpiazzati, ma è anche la fotografia impietosa di un’industria che fagocita il talento trasformandolo in merce da vendere, per la quale il successo si misura dal numero di incassi e nella quale il fallimento – anche quello personale naturalmente inevitabile – non è contemplato o perdonato. Dietro i candelabri non c’è nulla di magico o attraente, c’è solo il buio. Lo sapeva Liberace e lo sa anche Hollywood.
Chiara Ribaldo |Bake Agency