A Roma, tra Via dei Penitenzieri e Borgo Santo Spirito (siamo a pochi metri dal Vaticano), aleggia ancora la presenza in qualche modo leggendaria dell’attrice Bianca D’Origlia e del marito attore, il Cavalier Bruno Emanuel Palmi.
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O meglio, dato che i testimoni diretti sono per forza di cose sempre di meno, la presenza è sentita da chi è stato estimatore, spettatore o lettore di Carmelo Bene, Paolo Poli, Alberto Arbasino, che erano negli anni ’50 e ’60 tra i loro più assidui frequentatori.
Molti però andavano a quel teatro per sghignazzare dello stile antiquato della recitazione, delle svagatezze degli interpreti, delle scene mute o improvvisate per vuoti di memoria. Non c’erano vie di mezzo: o relitti di un’altra epoca dello spettacolo teatrale, o geniali (ma involontari) custodi di un sapere dimenticato dai più.
La compagnia D’Origlia-Palmi
La Primaria Compagnia Italiana D’Origlia-Palmi è quasi immancabilmente definita “rinomata e singolare”, per via, sospetto, di copia incolla, oppure “sgangherata e sublime”, che pure rende l’idea, anche se il sublime era, beninteso, negli occhi di chi guardava.
La compagnia era nata per l’iniziativa di due giovani attori, Bruno Palmi e Bianca D’Origlia, che una volta sposati avevano avuto una figlia, Anna Maria Palmi, a suo tempo entrata in scena al loro fianco.
All’inizio frequentavano un tradizionale repertorio teatrale, il loro primo spettacolo fu, secondo le cronache, una Figlia di Iorio di D’Annunzio a Napoli nel 1921, e non mancò il successo, più che altro in provincia. Fin qui la storia di molte altre compagnie teatrali, molte delle quali non arrivarono al dopoguerra. D’Origlia e Palmi invece non ebbero crisi in quel periodo, e anzi, dopo la seconda guerra mondiale attirarono su di di loro qualche sospetto di connivenza con il regime fascista per quanto avevano continuato l’attività indisturbati.
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Più probabilmente avevano qualche copertura per così dire religiosa: chi non ha mai chiesto una raccomandazione allo zio vescovo? Ad averlo, certo. Comunque, negli anni ’50 arriva la televisione, che bene o male sprovincializza un po’ l’Italia, l’economia sta per conoscere il boom del decennio successivo, anche i consumi culturali diventano più articolati, anche se non sempre raffinati. Sta di fatto che a un certo punto il loro stile “all’antica italiana” era obsoleto e nessun teatro, nessun impresario li voleva più. Così si insediarono, ma si potrebbe dire che si barricarono, in un piccolo teatro a Borgo S. Spirito, a un passo dalla Casa Generalizia della Compagnia di Gesù, e continuarono indefessi a recitare, senza concessioni alla modernità.
E paradossalmente è qui che inizia davvero la leggenda.