L’emotional branding: una strategia di branding che punta tutto sulle emozioni.
Per fare emotional branding un’azienda deve prima di tutto fare branding. Ma cosa vuol dire?
Un’azienda che fa branding ha come obiettivo quello di posizionare il suo marchio nella mente del consumatore, affinché quest’ultimo lo preferisca alla concorrenza.
Secondo Kotler “Il branding è conferire ai prodotti e ai servizi la forza di un brand”.
Se alle strategie di branding tradizionali aggiungiamo la componente emotiva parleremo di strategie di emotional branding.
Marc Gobé nel suo Emotional Branding: the new paradigm for connecting brands to people è stato il primo a parlare di branding emozionale. L’autore partiva dal presupposto che nelle relazioni tra brand e persone si dovesse innescare una connessione a livello emozionale. Questo perché, col passare degli anni, sempre più il consumatore, nel fare acquisti, si fa guidare dalle proprie emozioni e non valuta solo le prestazioni e le funzionalità del prodotto di cui ha bisogno.
I consumatori non vogliono più semplicemente acquistare un bene o un servizio, vogliono vivere un’esperienza che faccia provare loro emozioni. Di conseguenza le aziende hanno compreso quanto sia importante mettere in atto strategie di comunicazione focalizzate sulle persone e sulle loro emozioni.
Così l’emotional branding è diventato fondamentale per rendere un brand unico e indimenticabile, competitivo e capace di guadagnarsi la fiducia del pubblico.
Dalla razionalità all’impulsività
Quando una persona deve fare un acquisto, solitamente, segue un percorso che viene chiamato customer journey (letteralmente “viaggio del cliente”) che inizia quando ci sono i primi contatti tra azienda e cliente e termina nel momento in cui avviene l’acquisto.
È un processo abbastanza lineare che prevede 5 fasi:
- awareness (scoperta): il momento in cui il consumatore viene a conoscenza dell’esistenza di un prodotto che può soddisfare il suo bisogno;
- consideration (valutazione): il consumatore valuta quale tra i prodotti offerti dal mercato fa al caso suo e fa una comparazione tra i diversi brand;
- purchase (acquisto): il consumatore entra in possesso del prodotto;
- retention (fidelizzazione): è la prima fase del post-acquisto. L’azienda deve fare in modo che il cliente voglia instaurare una relazione in modo da ripetere l’acquisto e diventare fedele alla marca;
- advocacy (raccomandazione): se il consumatore è soddisfatto si innescherà il cosiddetto passaparola che potrebbe influenzare altri utenti.
Quando entra in gioco l’aspetto emozionale, però, questo processo decisionale smette di essere così logico e razionale. Il cliente diventa più impulsivo proprio perché motivato dalle emozioni e la chiave del successo dell’azienda non è comunicare solo il “cosa”, ovvero il prodotto e le sue caratteristiche, ma tutto ciò che c’è dietro la sua creazione. Nelle campagne di comunicazione, infatti, le aziende cominciano a comunicare con empatia e a raccontare la storia del brand, i suoi valori e la sua essenza.
Lo storytelling e la centralità del cliente
È risaputo, ormai, che lo storytelling è uno dei metodi di comunicazione più utilizzati per comunicare i propri marchi o prodotti, proprio per la sua capacità di persuadere e coinvolgere. Ma perché è una strategia di successo?
Lo storytelling, l’atto del narrare, è considerato il metodo più efficace per esprimere le proprie emozioni. Comunicare attraverso il discorso narrativo fa sì che il messaggio sia comprensibile e memorizzabile e favorisce la persuasione del pubblico. In più, ogni individuo può interpretare la storia a modo proprio e provare emozioni diverse a seconda dell’esperienza che il racconto stesso fa vivere.
Anche nel caso dell’emotional branding si rivela essere una strategia con un potenziale enorme che, se utilizzata bene, riesce a far innamorare il target a cui l’azienda vuole rivolgersi.
Bernadette Jiwa sostiene che le storie servono proprio a comunicare efficacemente i nostri valori, celebrano i nostri punti di forza, rafforzano il nostro valore e costruiscono relazioni fedeli ed autentiche.
Nel narrare le sue storie, l’azienda deve però ricordare di porre il cliente al centro. Il focus della strategia, infatti, passa dall’oggetto in vendita al soggetto a cui l’azienda vuole vendere un determinato prodotto. Per questo motivo occorre focalizzarsi sull’individuo, sulle sue caratteristiche, sui suoi bisogni, desideri e timori. L’obiettivo della comunicazione è creare relazioni durature basate sulla fiducia reciproca tra cliente e azienda.
I 10 comandamenti dell’emotional branding
Gobé, nel volume citato in precedenza, mette a punto 10 comandamenti per far sì che le aziende riescano nella creazione di strategie di branding emozionale efficaci. Vuole, quindi, dimostrare che un’azienda, oltre a vendere i suoi prodotti, riesce a trasmettere i suoi valori al cliente che vivrà un’esperienza ricca di emozioni al punto da sviluppare un sentimento verso il brand. Scopriamoli nel dettaglio:
- Da consumatori a persone: i consumatori non vogliono essere considerati generici acquirenti ma persone con personalità ed esigenze diverse.
- Dal prodotto all’esperienza: non si acquista per soddisfare bisogni ma per vivere una experience.
- Dall’onestà alla fiducia: l’onestà è un dovere dell’azienda, la fiducia va conquistata.
- Dalla qualità alla preferenza: il consumatore non sceglie solo in base alla qualità del prodotto. Preferisce un marchio ad un altro perché si instaura un rapporto emozionale tra i due soggetti.
- Dalla notorietà all’aspirazione: essere noti non basta per essere scelti, occorre soddisfare esigenze e aspirazioni.
- Dall’identità alla personalità: avere un’identità di marchio non significa avere carattere e carisma. I consumatori si aspettano che i brand trasmettano valori etici e morali.
- Dalla funzionalità alla sensorialità: un prodotto deve essere sì funzionale e pratico per le esigenze per cui è stato progettato ma deve anche far vivere un’esperienza sensoriale.
- Dall’ubiquità alla presenza: ubiquità equivale a visibilità, presenza emozionale vuol dire essere percepiti dal pubblico.
- Dalla comunicazione al dialogo: non basta più comunicare a senso unico, il consumatore vuole instaurare un dialogo con l’azienda.
- Dal servizio alla relazione: se il marchio punta solo a vendere prodotti o servizi non riesce a costruire una relazione con il cliente. Quest’ultima è la chiave del successo che porta il cliente alla fidelizzazione.
Alcuni esempi di emotional branding
Se facciamo caso agli spot Nike possiamo notare che il focus non è mai sul prodotto. Quasi sempre questo non è neanche mostrato e, se non fosse per il logo e lo slogan che appaiono alla fine del video, non capiremmo neanche che si tratta di un ad prodotto da Nike.
Questo perché il brand vuole evocare particolari sensazioni e bisogni nel consumatore che possono essere poi soddisfatti solo acquistando prodotti Nike.
Altro brand famoso per le sue campagne di marketing emozionale è Coca-Cola che fa leva soprattutto su felicità e spensieratezza. Qualche anno fa ha creato bottiglie personalizzate con nomi propri di persona e ha lanciato la campagna Share a Coke with per ispirare le persone a condividere momenti di felicità insieme agli amici.
Non possiamo non citare Apple che ormai ha dato vita ad una vera e propria community di cui il consumatore fa parte. In questo modo i clienti non solo acquisteranno i prodotti preferiti ma entreranno in relazione con altri individui con aspirazioni e interessi comuni. Si sviluppa un senso di appartenenza al marchio che è ormai uno status symbol.
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