Enrico Cogno, torinese, sociologo, risiede a Roma dal 1968. Formatore, Creativo e Giornalista. Fondatore del Centrostudi Comunicazione Cogno Associati già negli anni ’70 fondato sull’idea che il mondo della comunicazione d’impresa necessitasse di un approccio diverso, multidisciplinare e interdisciplinare, soprattutto plurispecialistico. Un’esperienza vastissima nel campo della comunicazione, dell’editoria e della formazione. Vi consiglio di approfondire direttamente sul suo sito personale: www.enricocogno.it
Avere l’occasione di intervistarlo per una persona in primo luogo appassionata di comunicazione e creatività fa sorgere davvero un’infinità di domande possibili. Ma approfitterò dell’occasione per offrire ai nostri lettori degli spunti su cui riflettere e da poter approfondire. Le domande potrebbero aprire anche singolarmente capitoli interi sul mondo della comunicazione oggi, ma hanno principalmente lo scopo di essere piacevoli spunti per tutti e un’occasione di riflessione.
Comunicazione e cultura
In questo momento i media ci bombardano con notizie negative, “la crisi economica” sembra giustificare la fame per l’indignazione e la violenza. Leggendo alcuni suoi testi mi è piaciuto particolarmente un passo: “Il rovesciamento della negatività è una potente arma, come la ludicità. Per sviluppare la creatività si deve riscoprire il gioco, l’ironia, la capacità di scherzare, tutte cose naturali per i bambini.” [Creatività e comunicazione. Pensare a rovescio LEGGI QUI]
Come trovare un piccolo appiglio personale per compiere questo ribaltamento? Secondo lei, è possibile riuscire oggi ad attuare questo ribaltamento in maniera collettiva? Chi fa comunicazione sembra lanciato in una macchina macina tutto, dove non c’è quasi traccia della responsabilità su come vengono trasmesse notizie e informazioni. In parte dipende forse dalla crisi che sta attraversando il sistema “classico” della carta stampata, in parte dipende dai nuovi sistemi di marketing. Ma ha senso essere disposti a tutto per i click? C’è forse bisogno di rafforzare il codice etico e di cercare un’intesa per evitare questa deriva con risvolti sociali importanti? Oggi possono scrivere tutti e la nuova “cultura” nel bene e nel male si forma online dove la distinzione tra approfondimenti o informazioni infondate è difficile da riconoscere. Le differenza tra divulgatori e “chi scrive a sproposito”, potrebbero essere proprio la qualità, il rapporto con le fonti -giornalistiche o scientifiche- e un’etica condivisa?
(*nda, li ho definiti così per evitare le due categorie professionisti e non professionisti perché preferisco far rientrare nella categoria divulgatori, i professionisti ma anche gli amatori e gli appassionati che talvolta scrivono con cognizione di causa molto più accuratamente di tanti cosiddetti professionisti).
E.C. Riunisco queste considerazioni in una sola domanda: “Come si può trasformare il terribile caos che ci sta assalendo in una più disciplinata forma di comunicazione, stimolante, ma non così distruttiva? Il Pensiero Antitetico, basato sul rovesciamento del negativo in positivo, può aiutarci in questo?”. La risposta è si, può aiutarci, a patto che ci sia davvero interessati a un cambiamento. Sebbene il cambiamento sia una costante eterna nella vita dell’uomo (perché è mutazione, progresso, passaggio, trasformazione da uno stato a un altro ed è quindi dimostrazione di vitalità e sviluppo, indispensabile per assicurare un rinnovamento) è un fenomeno che spaventa: ogni situazione nuova produce ansia. Perché la resistenza al cambiamento è così elevata? Perché siamo passati dai lumi a petrolio al web, alternando grande lentezza a grande velocità. E’ stato calcolato che negli ultimi 50.000 anni si sono succedute circa 800 generazioni. I nostri avi hanno vissuto per 650 cicli di vita nelle caverne e solo durante le ultime 70 generazioni hanno imparato a comunicare. Nelle ultime quattro generazioni hanno imparato a misurare il tempo con precisione e solo nelle ultime due sono stati usati i motori elettrici. Solo nell’ultimo ciclo ha prodotto la maggioranza dei beni oggi disponibili. Per poter effettuare un confronto con un qualcosa a tutti noto, l’intera vita dell’homo sapiens è stata paragonata ad un’ora di orologio: se immaginiamo queste ottocento generazioni “compattate” in 60 minuti, per i primi 59 minuti non è accaduto quasi nulla di realmente significativo, mentre nei 57 secondi dell’ultimo minuto sono accaduti quasi tutti i grandi cambiamenti del progresso umano. In particolare negli ultimi 3 secondi è avvenuto lo sconvolgimento totale di tutti gli schemi di vita dell’homo sapiens. Nell’ultimo microsecondo, poi, è arrivato il web, ed è stato lo sconvolgimento del mondo. Non abbiamo avuto, insomma, il tempo per farci l’abitudine. Oltre a queste considerazioni, va anche detto che nessuno è disposto a perdere i propri privilegi, per cui qualsiasi sia la modifica che viene proposta, la si rifiuta, ogni riforma è quasi inattuabile. Questo produce complessità: una tecnica semplice per ridurre la complessità è quella di individuare i riduttori di complessità. Il più elementare di questi è ribaltare il sistema di critica noto come “l’avvocato del diavolo”, rovesciandolo nel metodo opposto: l’Avvocato dell’Angelo. Dite, ad esempio, nel primo colloquio che avrete con una persona: “La cosa che più mi piace in quello che hai appena detto è…” La vedrete, probabilmente, più disposta a ricambiare il pensiero positivo. Riducendo la conflittualità si riduce la complessità. Per ridurre il conflitto è bene attuare una semplicissima ma potente tecnica suggerita da Carl Rogers: “Prima che un problema sia discusso, i partecipanti dovrebbero spiegare non già il loro punto di vista, ma quello che ritengono essere il punto di vista dell’altra parte”. Avete mai provato? Scoprireste che quasi mai le persone si ritrovano nella descrizione che voi fate del loro pensiero, che quasi sempre, in effetti, è un altro. Sapete perché? Non ci ascoltiamo più. Operiamo solo secondo pregiudizi. Riteniamo di sapere già tutto prima che l’altro si esprima. E la chiamiamo comunicazione? Ricordiamoci che comunicare significa mettere in comune.
Cambiamo argomento, nuove piattaforme editoriali e app
Siamo ospiti su un webzine dove i vari supporter che gravitato attorno al mondo di Bake Agency trovano un luogo dove condividere passioni, lavoro e interessi sia personali che professionali, e dove costantemente ci confrontiamo sulla qualità e la periodicità dei contenuti. Data la sua ampia esperienza come giornalista nell’ambito dell’editoria e dei periodici, in quest’epoca di sovraccarico informativo a discapito della qualità, cosa ne pensa delle piattaforme editoriali come Good Morning Italia?
Una domanda che forse interessa maggiormente gli addetti ai lavori che ci seguono. In uno dei suoi libri – Il talento del comunicatore. Manuale per diventare communication manager di successo edito da Franco Angeli, ci spiega che un esperto di comunicazione è un professionista al quale vengono richieste doti paragonabili a quelle di un leader. Queste competenze sono ancora largamente sottovalutate in molti ambiti sia nel profit che nel no-profit. Secondo lei questa tendenza è dovuta all’analfabetismo funzionale o alla poca lungimiranza delle realtà italiane rispetto alla necessità di comunicare oggi?
E.C. Ogni strumento che apporta notizie in modo fresco e sintetico, come Good Morning Italia, è utile. Ma se il discorso si sposta dall’informazione alla comunicazione, le cose si complicano, perché ci si sposta tra il “comunicare a” (erga omnes, indistintamente diretto a tutti) a “comunicare con”, che presuppone un dialogo, una condivisione e soprattutto una precisa individuazione dei nostri interlocutori. Si sta operando perché il termine “impresa” sia sostituito da “organizzazione comunicativa”, così come da tempo si spera che divenga chiara la differenza tra un capo (autoritario) e un leader (autorevole). In un mondo perfetto (diciamo quasi perfetto, perché la perfezione tra umani non è data) un leader illuminato sa creare un luogo e un clima al quale le persone desiderano appartenere, nel quale il rispetto delle persone e dell’ambiente, uniti a un profondo senso etico, vincono su tutto. Ma siamo lontani da questo modello.
Jazz
Avrei tantissime domande possibili da fare ma preferisco chiudere in musica. La sua passione per il jazz non è un mistero e una grossa fetta di nostri lettori è composta da appassionati di musica, a quale brano o artista é particolarmente legato e perché? Mi farebbe piacere concludere suggerendo ai nostri lettori un brano che stimoli energia e creatività, le viene in mente un brano in particolare?
E.C. Sono troppo legato a centinaia di jazzmen per poterne indicare uno solo. Sarebbe come indicare il più amato tra diversi figli, una cosa troppo cattiva nei confronti dei non prescelti. Posso invece indicare un brano, un blues, tratto dal film Helzapopping. E’ indicativo dello spirito di una jam session che si basa sullo spirito di condivisione, allegria, amicizia e artisticità, tutte cose tipiche del jazz; ma l’ho scelto soprattutto perché, in quel momento della pellicola, la scena si svolge all’interno di un hotel, dove i lavoratori, cuochi, facchini, camerieri, sono richiamati dalle note di un blues che uno di loro batte sulla testiera di un piano. Così si aggiungono, l’uno dopo l’altro, tutti i lavoratori, dapprima a suonare e poi a ballare uno scatenato hip hop, in un crescendo irresistibile. Questo non è solo un augurio: è anche un auspicabile modello per il mondo del lavoro d’oggi che, invece, procede al contrario, con liti, divisioni, prevaricazioni, scarsità, odio. Lo so bene che non basta un blues per rimediare quanto accade, ma di tanto in tanto fa bene vedere che è anche possibile, alle persone, ritrovarsi insieme. Sono alcuni minuti di grande show e di deliziosa musica. Per vederlo basta battere su Google Hip Hop Helzapopping.