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Erreà Sport Spa: i segreti dietro la creazione di una maglia

Parte prima

La maglia di una squadra non è solo un capo di abbigliamento, ma un vessillo di identità, un simbolo di appartenenza e un mezzo potente per comunicare messaggi importanti. Insieme allo stemma, rappresenta il cuore e l’anima del club, incarnando i valori e le tradizioni che legano i tifosi. Questo rende il lavoro del designer sportivo particolarmente delicato: i tifosi sono estremamente sensibili e attaccati ai simboli della loro squadra, e non è sempre facile accontentarli.

Per esplorare le sfide e le soddisfazioni di questo lavoro, abbiamo parlato con due figure chiave di Erreà Sport SpA, azienda produttrice di teamwear, fondata nel 1988 a San Polo di Torrile (PR) e divenuta, oggi, un punto di riferimento nel settore: Fabrizio Taddei, Head of Global Partnership Department, e Alberto Mariani, Creative Designer e Art Director.

Con la loro esperienza e visione, ci hanno svelato i segreti dietro la creazione di una maglia, le sfide per comunicare il prodotto e i cambiamenti che stanno avvenendo nel settore.

Alberto Mariani, Creative Designer e Art Director. Fabrizio Taddei, Head of Global Partnership Department.
A destra Alberto Mariani, Creative Designer e Art Director. A sinistra Fabrizio Taddei, Head of Global Partnership Department.

• Come si svolge solitamente il processo creativo che porta alla nascita di un kit?

Fabrizio Taddei & Alberto Mariani – Il processo creativo è uno dei principali fattori che differenzia Erreà dagli altri produttori di abbigliamento sportivo. Noi, infatti, abbiamo una strettissima collaborazione con i club che sta alla base della creazione del materiale. Al contrario dei grandi brand, che spesso propongono semplicemente un paio di opzioni tra cui il club può scegliere, il nostro è un lavorare in strettissima collaborazione per raggiungere un obiettivo comune. Anche perché se il nostro cliente non è contento, la collaborazione non dura molto.

Al contrario di quanto si potrebbe pensare, per noi il cliente finale è il club, e non il tifoso. Noi, quindi, dobbiamo soddisfare le esigenze del club che conosce, a sua volta, il tifoso.

La nostra bravura sta nella creatività di persone come Alberto e di tutti i nostri designer che riescono a tradurre un’idea, una percezione che il club ha in testa, in un prodotto finito.

Il nostro scopo è far arrivare il club in un posto in cui da solo non sarebbe potuto andare, grazie al design. Questo non è facile, a volte viene recepito pienamente ma capita anche che sia recepito solo in parte perché, magari, la squadra non è “pronta”.

Il processo che noi facciamo parte da un’analisi dell’esistenza, un’analisi del passato. Vogliamo arrivare a soddisfare il club e per farlo bisogna conoscerne la storia, l’identità, la cultura locale, le ricorrenze, i momenti speciali; quindi, bisogna fare un certo tipo di ricerche.

In questo ci aiutano la memoria storica delle persone che lavorano qui e i rapporti con la squadra. È un lavoro più complesso di quanto si possa pensare dall’esterno. Le persone non hanno neanche idea di quante componenti e simboli ci siano in una maglia, di quanto sia lungo il processo e di quante persone siano coinvolte.

Dietro ogni maglia, quindi, ci sono diversi momenti di brainstorming e di studio da parte di tutto il nostro reparto grafico per arrivare al cosiddetto moodboard e allo sviluppo dei disegni.

Dopo l’analisi del passato, bisogna, per esclusione o per visione, capire cosa costruire in futuro. Se per 15 anni ho avuto una maglia rigata regolare, devo chiedermi cosa fare per il futuro. Voglio abbandonare quella riga perché voglio comunicare un cambiamento societario, di brand, di governance? Oppure voglio tenerla per dare stabilità?

Infatti, c’è anche un aspetto politico all’interno della maglia. Se per noi essa è la massima espressione dello stile del brand, all’interno del club la maglia è una questione politica, perché in ogni club c’è chi vuole decidere, chi può avere voce in capitolo, chi deve approvare, chi vuole far passare tramite la maglia il proprio expertise. Ogni situazione è diversa. Ci sono club che ci lasciano la più ampia libertà e club dove il brief è stringente e l’idea creativa parte dai vertici societari.

La maglia, infatti, aiuta anche a comunicare certi cambiamenti a livello societario, anzi, molte volte è utilizzata proprio per questo tipo di comunicazione, anche se non sempre questo viene percepito dal tifoso. Per noi, quindi, ogni tavolo a cui ci sediamo è diverso.

Poi subentra sempre anche la capacità dell’azienda che fa design di far capire le potenzialità di certe scelte alla società, di aiutarla ad innovare, a guardare avanti. Che sia la posizione dello stemma, che sia la tipologia di rosso o il tipo di riga, questa forza innovatrice è qualcosa che spetta al designer. Dopo, chi dovrà decidere capirà in che misura e in che quantità andare ad innovare. Però il nostro compito è quello di portare le squadre a vedere più in là del loro campo da calcio.

Negli ultimi anni notiamo che i club ci danno brief più dettagliati e trasmettono meglio le loro aspirazioni perché stanno comprendendo che la maglia è un potente veicolo di comunicazione. Se la maglia trasmette un contenuto, possono trarne giovamento.

Questa voglia di diventare partecipi, però, significa anche una maggiore difficoltà per noi di inserire la nostra visione. Bisogna quindi sempre cercare di trovare un accordo che renda tutti soddisfatti. È importante anche trasmettere al club la nostra esperienza. Un club, infatti, affronta il tema del design della maglia una volta all’anno. Ma in un anno il mondo delle maglie è già evoluto tante volte. Quindi noi che viviamo il settore ogni giorno e siamo più aggiornati, ci troviamo a volte a dover spiegare con fatica ai club che il pensiero che loro avevano maturato è qualcosa che per noi è già superato.

• Come si comunica un’azienda come Erreà che producendo la maglia di un team deve esaltare il brand partner, piuttosto che sé stesso?

Alberto Mariani – Il nostro approccio è quello di trovare un punto di incontro tra le esigenze di brand, quindi quelle di prodotto, e gli obiettivi che ha la squadra in termini di comunicazione da fare con il prodotto. È ovvio che è un equilibrio non facile da trovare perché la squadra tende a voler comunicare se stessa a pieno. Ma essendo la maglia qualcosa che viene “delegata” ad un brand, questo impone anche a noi di usare questo momento per comunicare.

La maglia, quindi è frutto di un incrocio tra le esigenze nostre di brand, intese sia come prodotto fisico, e sia come strumento per comunicare tecnologia, tessuti, visione dell’azienda in termini di produzione e in termini di qualità; e quelle del club che vuole comunicare sé stesso.

L’ideale è quando queste due cose collimano e si riesce a trovare la stessa chiave per tutti e due. Questo avviene quando il contenuto che vuole comunicare la società si riesce a trasformare e mettere nella maglia, che diventa così il volano per la società per comunicare qualcosa.

Per noi è importante quindi sapere cosa vuole fare una squadra, dove vuole andare con la sua maglia, così che possiamo trasformare quello stimolo in una grafica e poi in un prodotto.

• Puoi fare qualche esempio di progetti in cui siete riusciti a far combaciare le vostre esigenze con quelle del club con cui collaboravate?

Alberto Mariani – Il Catania è un ottimo esempio. Dopo il fallimento aveva bisogno di riattrarre il pubblico a sé, viveva una situazione complicata. La terza maglia era il territorio scelto per fare questa cosa.

Abbiamo convenuto insieme che il tema del vulcano, che è un tema fortemente territoriale, fosse quello giusto e abbiamo puntato su quello per riavvicinare il tifoso.

Maglia del Catania a tema Vulcano.
Maglia del Catania a tema Vulcano.

Erreà ha così avuto l’opportunità di fare un concept e dimostrare cosa può entrare in una maglia a livello allegorico, questo progetto ci ha dato anche l’opportunità di far vedere cosa vuol dire trasformare un’idea in un concept, che non vuol dire applicare una foto sulla maglia, cosa che possono fare tutti. Per il club è stato un motivo di avvicinamento della popolazione tifosa. È stata una vittoria per entrambi.

Altro esempio può essere il Port Vale, una società con cui abbiamo iniziato a collaborare quando era in quarta divisione inglese, che ha un forte legame con Robbie Williams.

Siamo volati fino in Inghilterra per andare a casa di Robbie Williams e studiare con lui la nuova maglia. Quando siamo arrivati lì, per noi è stato utile scoprire che il legame da tifoso di questo testimonial di altissimo livello fosse proprio vero. Robbie Williams è un tifoso vero, tanto che qualche anno prima aveva ceduto i diritti di una sua canzone a EA Sport in cambio dell’inserimento del Port Vale nel videogioco Fifa 2000. Un tifoso che ha avuto l’opportunità di fare una sorta di “jersey experience privata”.

Maglia del Port Vale.
Maglia del Port Vale.

Così, la maglia è nata dalle sue emozioni e dal nostro studio sul suo essere tifoso. C’è stato un grande studio dietro, noi abbiamo ritrovato una vecchia foto di Robbie Williams da giovanissimo che indossava una felpa con grafica a spicchi bianconeri. Da quella foto, che ha commosso Williams, siamo partiti per realizzare la nuova maglia.

C’è stato, anche in questo caso, un collimare di due aspetti, perché noi abbiamo percepito che il fatto che Williams fosse coinvolto poteva essere un’opportunità per comunicare una maglia con un significato. La società, ovviamente, aveva l’opportunità di usare i concerti di Williams per veicolare un significato e legarlo alla propria storia di squadra.

Alla fine, abbiamo realizzato una maglia “forte” a livello grafico, con una discontinuità rispetto al passato. La tifoseria, però, l’ha digerita bene perché ha capito che c’era dentro un contenuto forte legato alle emozioni di Robbie Williams.

Così, siamo stati in grado di dimostrare come si può utilizzare la presenza di un testimonial all’interno di una maglia e il club ha esplorato un territorio diverso, che non aveva ancora esplorato, ma che ha condizionato il suo modo di fare le maglie nel futuro. Infatti, in quell’anno abbiamo dovuto cambiare il posizionamento dello sponsor. E loro non avevano mai cambiato posizionamento dello sponsor. Ma da quella stagione ad oggi, che non sono neanche più con noi, hanno deciso di tenere questa linea.

• Come misurate l’impatto delle vostre sponsorizzazioni sulla visibilità e reputazione del brand Erreà?

Fabrizio Taddei – Noi abbiamo varie chiavi di lettura. Un primo parametro, puramente finanziario, è il numero di repliche vendute, che ti fa vedere il successo di un’iniziativa.

Una cosa importante da ricordare su questo, è che c’è quasi sempre discrepanza tra il numero di maglie vendute e i commenti sui social. Il sentiment social è qualcosa che non determina o meno il successo di una maglia. Ciò che conta sono le vendite. Posso avere migliaia di commenti negativi, spesso da “leoni da tastiera”, che a prescindere non avrebbero comunque comprato quella maglia, ma se non ho più una maglia in negozio, è ovvio che ho avuto ragione.

Certo, un sentiment social negativo è un pulviscolo che comunque ti sporca e non aiuta. Ma bisogna dire che la maglia, quando viene presentata è giudicata molto con la pancia e poco con la testa; quindi, c’è sempre qualcuno che non sarà contento perché magari voleva una maglia più tradizionale piuttosto che qualcosa di più innovativo.

Poi, però, nella lunga stagione di 9 mesi, subentra anche la testa. Quindi spesso con il tempo si cambia idea, vedendola in campo la si rivaluta e alla fine la si apprezza.

Oltre alle vendite e al sentiment sui social, abbiamo, poi, degli strumenti informatici che ci permettono di capire il valore dell’esposizione del nostro marchio su quella particolare maglia e di quella particolare partnership.

• Quanto è importante, oltre alla realizzazione, comunicare bene una maglia e il significato che c’è dietro?

Alberto Mariani – Una buona comunicazione a volte è decisiva. Penso a quanto avvenuto con l’exploit della Nigeria o del Venezia, che sono casi in cui una buona comunicazione, probabilmente anche estrema rispetto al prodotto, li ha portati ad avere un’incredibile esposizione mediatica.

Questo ci fa capire che comunicare bene una maglia evita anche tanti passaggi di difficile compressione per i tifosi. Noi abbiamo avuto qualche esperienza dove il concept era all’avanguardia e la qualità del design era ottima. C’era tutto per fare un’ottima figura. Ma la maglia è stata comunicata dal club in una maniera non adeguata, tale per cui venisse percepita come una qualcosa di poco rispettoso o di fuori contesto. Spesso si tratta anche di dettagli banali, come la scelta del tempo, della data o delle parole con cui la maglia viene comunicata.

Ci sono, poi, squadre che dicono “noi comunichiamo a modo nostro”, ma non conoscendo l’origine del prodotto, non riescono ad interpretare bene il concept e il messaggio faticano ad arrivare. Ma questo succede, in generale, nel calcio a tutti i livelli. Capita che il comunicato stampa dica una cosa e la maglia comunichi tutt’altro. Ed il risultato è che il tifoso si lamenta.

• Come si comunica l’identità di un club piccolo? La maglia può essere un mezzo per squadre minori per ottenere visibilità e far parlare di sé?

Fabrizio Taddei & Alberto Mariani – Noi cerchiamo di valorizzare il più possibile l’identità di una squadra, al di là della sua dimensione. Facciamo delle maglie personalizzate per club di ogni categoria in ogni parte del mondo, che sono meravigliose. Anche se non riusciamo a comunicarle tutte perché seguiamo davvero molti club, ma cerchiamo di farlo indirettamente tramite i nostri distributori.

Crediamo che la maglia sia un mezzo per auto-valorizzarsi anche per le squadre piccole.

Qualche anno fa con la Florentia San Gimignano, che era l’unica squadra di serie A femminile non collegata ad un grande club maschile, abbiamo scelto strategicamente di fare rebranding, maglia e comunicazione dedicata. Abbiamo realizzato il primo shooting dedicato esclusivamente ad una squadra di calcio femminile, che è stato veicolato attraverso una pagina di promozione sulla Gazzetta.

Il rebranding della Florentia San Gimignano.
Il rebranding della Florentia San Gimignano.

È stato un modo per dire: “la dimensione della squadra non è importante”, se hai un concept, un legame e una storia da raccontare, puoi tranquillamente andare a posizionarti in mezzo alle grandi. Anzi, abbiamo proprio dimostrato che quell’anno le grandi del calcio non hanno minimamente considerato la loro squadra femminile. Questo ha segnato un punto di svolta perché da lì in poi tutte le big hanno cominciato a fare almeno uno shooting misto.

La seconda parte dell’intervista verrà rilasciata fra una settimana.

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