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Esplorando le nuove frontiere digitali del calcio: intervista a GianFilippo Valentini, creatore del Social Football Summit – Seconda Parte

Dopo aver esplorato la nascita e la crescita del Social Football Summit nella prima parte della nostra intervista , continuiamo il nostro dialogo con GianFilippo Valentini, ideatore dell’evento e esperto di comunicazione digitale nello sport.

In questa seconda parte, ci addentriamo nelle sfide e nelle opportunità che i social media offrono alle società calcistiche, analizzando come il panorama digitale stia trasformando le strategie di comunicazione dei club e il rapporto con i tifosi.

Valentini ci offre una panoramica sulle best practice in ambito social. Inoltre, fornisce preziosi consigli a chi desidera intraprendere una carriera nella gestione sportiva digitale, mettendo in luce le competenze chiave e l’importanza di un costante aggiornamento in un settore in continua evoluzione.

In questi anni si è molto evoluto il rapporto delle società con i social media. Qual è, oggi, il ruolo dei social media nelle strategie di comunicazione delle squadre di calcio e quali sono le sfide principali nell’utilizzo efficace di questi strumenti?

I social sono uno strumento per poter raggiungere delle fanbase anche a livello globale, anche se stanno già perdendo un po’ di appeal sotto certi punti di vista. Dico questo perché oggi i social sono tanti. Ci sono diversi tipi di social. Quindi, per quanto essi rappresentino una grande opportunità per le squadre di calcio, riuscire a presidiare in modo strutturato e vantaggioso tutti i social, sta diventando un problema. Perché ogni tipo di social ha un suo codice di comunicazione, dei suoi tecnicismi, dei target diversi.
Sicuramente il potenziale vantaggio dei social è quello di abbattere le barriere fisiche e le distanze, creando fanbase enormi, però bisogna riuscire a gestirli correttamente, cosa che necessita anche di grandi risorse. Le società devono strutturarsi per fornire contenuti che siano accattivanti nei confronti degli utenti finali che vogliono raggiungere. Distribuire dei contenuti, infatti, significa produrne di alta qualità, e, su questo, oggi, la concorrenza sui social è altissima.

Quali sono, a tuo avviso, i migliori esempi di società che stanno sfruttando bene i social, portando contenuti di valore che garantiscono, poi, un risultato?

A livello italiano ci sono molti esempi virtuosi. Penso a quello che stanno facendo il Milan, la Juve e l’Inter. Hanno un livello molto alto sia di distribuzione di contenuti, sia di capacità di interloquire con i loro tifosi, integrando anche altri settori. Anche la Roma sta andando molto bene.
All’estero ci sono tanti altri esempi importanti. Ultimamente sto seguendo con molta attenzione il Wrexham, che sta raggiungendo obiettivi che tutte le squadre dovrebbero raggiungere. Questa squadra gallese, acquistata di recente dagli attori americani Reynolds e McElhenney sta puntando molto sull’integrazione del contenuto sportivo con altri settori, sulla contaminazione con la musica e il cinema. Inoltre, sono riusciti, attraverso i social, a raccontare questo loro progetto ed è una cosa che mi ha impressionato. Netflix ha realizzato anche una serie che racconta questo progetto, sottolineando come, la proprietà, nel mettere in atto queste iniziative innovative, è riuscita comunque a rispettare l’identità e la cultura del club.

Prendendo ad esempio quanto fatto dalla Formula 1 con l’introduzione delle gare sprint, il calcio, secondo te, ad oggi, ha bisogno di un restyling per rendersi più appetibile alle giovani generazioni, che fanno fatica a concentrare la propria attenzione su una partita che dura 90 minuti?

Sicuramente i giovani hanno un problema o, meglio, una caratteristica, cioè quella di non riuscire a stare collegati per 90 minuti a vedere una partita. Vedo anche mio figlio, che è giovane, che nel momento in cui vede la partita si mette sempre a chattare. Quindi, secondo me, ci deve essere una riorganizzazione, delle nuove iniziative per intercettare le nuove generazioni. Però il calcio si gioca col pallone. Quindi, se ci deve essere una modifica, deve riguardare lo spettacolo.
La tipologia di contenuto deve migliorare in termini di qualità, ma per fare questo non serve cambiare il format. Bisogna lavorare per migliorare quanto avviene sul campo di gioco, aumentando l’intensità e la vivacità di una partita.
Poi c’è un discorso organizzativo e di infrastrutture che andrebbero migliorate, perché questo influisce molto sulla percezione dell’evento. Oggi se vai in molti stadi italiani hai problemi a parcheggiare, spesso non hai una buona visuale per goderti il match, non ci sono servizi. Tutto questo non giova all’appetibilità e alla fruizione dell’evento sportivo. Fortunatamente in alcuni casi la situazione sta migliorando e questo porterà anche a recuperare, un po’, quell’appeal verso i giovani che oggi sta venendo meno.

Parlando di e-Sport, oggi gli sport elettronici sembrano essere diventati un punto di parità per i club più importanti. Quali sviluppi ti aspetti in questo settore e quali vantaggi possono portare alle società sportive?

In Italia, è Il calcio che traina gli e-sport, e non il contrario. Il calcio è un veicolo importante per distribuire e promuovere i videogiochi. Viceversa, invece, per le squadre di calcio investire in e-sport non penso sia un business che attualmente funziona. Nel nostro Paese, i team e-sport delle squadre di calcio vivono esclusivamente grazie alle sponsorizzazioni e agli sforzi delle case di produzione dei videogiochi. Non hanno degli asset, delle fonti di ricavi e delle monetizzazioni diverse dalle sponsorizzazioni.
L’errore che si fa, poi, è quello di sovrapporre il settore degli e-sport con i videogiochi calcistici, ma la maggior parte delle persone che gioca agli e-sports, nel mondo, non gioca a simulazioni calcistiche. Questa incomprensione fa sì che non sfruttiamo correttamente tutte le potenzialità degli e-sport. Manca una consapevolezza, una maturità per poter gestire gli e-sport come un settore di sviluppo.

Se dovessi dare dei suggerimenti a chi è interessato ad entrare a lavorare nel mondo della gestione sportiva digitale, quali sarebbero? Quali competenze sono fondamentali per farlo?

Partiamo dal presupposto che oggi esistono professioni che 5-6 anni fa non esistevano, per questo si fa fatica a definire le competenze che serviranno. Se pensiamo che attualmente la struttura che si occupa della comunicazione di un grande club conta almeno 20 persone e 10 anni fa non c’era neanche chi gestiva i social, capiamo subito come cambia rapidamente lo scenario.
È difficile, quindi, riuscire a trovare dei percorsi formativi che ti posso preparare ad affrontare un settore così dinamico e in rapida evoluzione.
Secondo me, bisogna prepararsi seguendo corsi di formazione anche non verticali sul calcio, ma capaci di formarti a livello di professione. Poi, il consiglio è quello di restare al passo seguendo le attività che i club fanno a livello digital. Ad esempio, studiare tutto quello che ha fatto il Milan in termini di PR, stringendo partnership con tante realtà del mondo della musica e della moda che l’hanno aiutata ad aumentare i ricavi. Il Milan ha compreso che oggi l’obiettivo non è tanto vendere la maglietta al tifoso, un mercato che si satura velocemente, ma tentare di aumentare le occasioni d’uso dei prodotti commercializzati cosa che si traduce, poi, in nuovi ricavi. Così ha fatto accordi con NY Yankees o con Off White per bypassare il concetto di vendere semplici maglie da gioco, puntando a far percepire i propri prodotti come capi d’abbigliamento piuttosto che materiale tecnico per lo sport, al fine di fare tendenza e diventare un brand lifestyle.
Un altro consiglio è quello di studiare le strategie messe in atto da chi già lavora nel mondo del calcio, andando a formarsi con chi operativamente, tutti i giorni, è a contatto con questo mondo. Ci sono dei bravissimi responsabili all’interno delle squadre che possono essere un riferimento per molti giovani. Penso, ad esempio, a Roberto Monzani, Media House Director dell’Inter. Mi concentrerei nello scegliere un responsabile della comunicazione di una squadra di calcio, cercare dove possibile di entrarci in contatto e capire ciò che ti può trasmettere.
L’ideale, poi, sarebbe fare degli stage e iniziare a collaborare con le squadre, per poter anche capire quali sono le criticità. Oggi, infatti, relativamente alla comunicazione social dei club ci sono due aspetti. Il primo è l’aspetto ordinario di gestione delle campagne di comunicazione, che vengono progettate nel tempo. Poi, però, ci sono delle attività che sono non gestibili, non sono ordinarie, ma straordinarie, e derivano dal risultato sportivo. Questo ha delle forti ripercussioni. Presentare, ad esempio, un accordo commerciale il giorno dopo una brutta sconfitta rischia di essere un autogol. È importante, quindi, comprendere che una pubblicazione social, oltre ad essere un post commerciale, rappresenta anche un messaggio che va ad incidere sul sentiment del tifoso. Va quindi capito il momento e a volte bisogna rivedere la pianificazione dei contenuti in virtù del cammino sportivo della squadra, a beneficio del rapporto con i tifosi.

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