Fanny è stata una buonissima rock band della prima metà degli anni ’70.
Però. C’è un però. Siccome erano tutte ragazze, vengono ricordate quasi solo come arpista per i successivi gruppi rock femminili (per esempio, Runaways, Go-Go’s, Bangles).
Ed è una somma ingiustizia: a chi verrebbe in mente di parlare dei migliori gruppi rock o dei migliori cantautori di sesso maschile in quanto tali? Invece, le donne devono essere sempre e solo paragonate ad altre donne. Nel nostro piccolo cerchiamo di non ghettizzare nessuno e diciamo solo che le Fanny potevano rivaleggiare con moltissimi gruppi pop-rock di qualunque genere nei loro anni.
Erano effettivamente quattro femmine, comunque: le sorelle June e Jean Millington, provenienti dalle Filippine, e le americane Alice de Buhr e Nickey Barclay.
Il nome del gruppo è letterario, viene da Memoirs of a Woman of Pleasure di John Cleland (famigerato romanzo proto-pornografico del 1748) dal quale nasce l’uso di “Fanny” quale eufemismo per gli organi
sessuali femminili.
Certo, i loro maggiori successi sono state delle cover, ma ciò non aveva impedito a Joe Cocker, per dirne uno, di diventare una star.
“Ain’t That Peculiar“, scritta in origine da Smokey Robinson per Marvin Gaye, dimostra oltretutto come June Millington fosse un’ottima chitarrista.
E “Hey Bulldog” è certo una canzone dei Beatles, ma decisamente non una scelta banale.
Ma la cosa importante è che funzionano, marciano sulle loro gambe, alla pari con le canzoni originali della band come
“Borrowed Time“, circa degna dei Rolling Stones, quelli del 1972, quelli di “Exile On Main Street” addirittura.
Le canzoni citate vengono tutte da Fanny Hill (1972), ma anche gli altri quattro album usciti tra i 70 e il 74 meritano.
Soprattutto vorrei lasciare le ultime parole a un fan delle Fanny, che scrisse loro una lettera di ammirazione all’epoca, poi ebbe anche una storia con June Millington, e ancora una ventina di
anni dopo insisteva
“They’re as important as anybody else who’s ever been, ever; it just wasn’t their time. Revivify Fanny. And I will feel that my work is done.”
E se credete a David Bowie, lui è contento.
Alex Righi