Il film Oppenheimer segue la vita del fisico Robert Oppenheimer, direttore del laboratorio di Los Alamos durante il progetto Manhattan, che ha portato alla creazione della bomba atomica. Alle 5:29 del 16 luglio 1945 nel deserto della Jornada del Muerto, a 56 km circa a sud-est di Socorro in New Messico, esplode la prima bomba al plutonio. Un fungo largo 200 metri in grado di sprigionare un’energia di 25 chilotoni.
Batter my heart, three-person’d God, for you
As yet but knock, breathe, shine, and seek to mend.
That I may rise and stand, o’erthrow me, and bend
Your force to break, blow, burn, and make me new.
Batter my heart – John Donne
«Colpiscimi nel cuore. Dio della Santissima Trinità» è uno dei più celebri sonetti sacri di John Donne. Una richiesta disperata di amore e di ascolto, l’ammissione di fronte a Dio della propria vulnerabilità, nei limiti, nei peccati e, soprattutto in un’irrisolvibile assenza di fede. È un appello estremo, erotico nella forma, profondissimo nella sostanza, che esprime la viscerale urgenza di rinascita e devozione.
«Usa tutto il tuo potere per spezzarmi, per abbattermi, per bruciarmi e in questo modo trasformami in una nuova persona.»
Forse per la profonda contraddizione di quei versi, il fisico statunitense Julius Robert Oppenheimer sceglie di chiamare la prima detonazione di un’arma nucleare Trinity. Il bisogno di credere nella pace, la speranza di scongiurare la guerra, mentre l’umanità muore. Sono trascorsi due anni dall’avvio del Progetto Manhattan a Los Alamos e sei da quando Albert Einstein e Leo Szilard fecero recapitare all’allora presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt una lettera in cui si avvertiva della possibilità che la Germania di Hitler stesse costruendo ordigni nucleari e si invitava il governo americano a fare altrettanto.
Il 6 agosto 1945 il bombardiere americano Enola Gay sgancia la bomba atomica sulla città di Hiroshima. Vengono uccise sul colpo quasi 80mila persone. Tre giorni dopo un’altra bomba viene sganciata su Nagasaki, causando 40mila morti. E mentre Truman sorride alla stampa e sventolano le bandiere del progresso e della democrazia nelle strade di un’Europa liberata, il conto delle vittime giapponesi sale fino a 220 mila, quasi tutti civili.
Oppenheimer, Prometeo che distrusse se stesso e il mondo
Possiamo notare la similitudine che vi è tra il film Oppenheimer ed il mito di Prometeo.
“I fisici hanno conosciuto il peccato” dirà Oppenheimer. Come Prometeo, incatenato a una roccia, torturato per l’eternità, punito per la sua tracotanza, su di lui ricadrà il peso insopportabile dell’apocalisse, il tormento della coscienza, perché il progresso è inevitabile, ma ha un prezzo.
Quando il Time gli dedica la sua ambita copertina come “padre della bomba atomica”, Robert Oppenheimer si è già espresso apertamente sui rischi delle armi nucleari. Rifiuta di dare il suo contributo allo sviluppo della bomba all’idrogeno. Una presa di posizione etica che lo rende una minaccia per l’FBI, per il senatore McCarthy e per la stessa Commissione per l’energia atomica di cui è a capo. Titano anche lui in un Olimpo che non ammette pentimento, dubbio, né libero arbitrio.
Oppenheimer, il nuovo film di Christopher Nolan
Oppenheimer di Christopher Nolan, regista di film come Memento, Inception, la trilogia del Cavaliere oscuro e Interstellar, è tratto dal bestseller Premio Pulitzer, American Prometheus: The Triumph and Tragedy of J. Robert Oppenheimer. Quest’ultimo scritto da Kai Bird e Martin J. Sherwin. La storia di una delle menti più brillanti della scienza moderna e dell’invenzione che ha cambiato per sempre il destino dell’umanità.
Ma, come Nolan ci ha abituato, il film Oppenheimer dramma epico è anche altro, anzi è soprattutto altro. Nonostante sia un film enorme – lo è nella grandiosità della messa in scena, nella sua durata, nell’uso dell’IMAX anche per le sequenze in bianco e nero, per cui la Kodak ha sviluppato una specifica pellicola. Notiamo come – nell’assenza della CGI e nella scelta del cast e con un coro greco di inarrivabile bravura – il suo senso è intimo, profondo, a tratti claustrofobico.
Cillian Murphy: la chiave interpretativa del suo personaggio enigmatico
Non è un’esplosione quella cui davvero assistiamo, ma un’implosione sorda e terribile, una frattura insanabile nei pensieri, nelle parole, nei gesti. In Oppenheimer Cillian Murphy, straordinario nei panni del fisico statunitense, chiede a Nolan una chiave per interpretare un personaggio così enigmatico. Il regista gli risponde: «Immagina che danzi tra le gocce di pioggia.»
Lo sguardo inquieto di Cillian Murphy ci mostra così il paradosso e il caos dell’esistenza. Le sue contraddizioni insanabili, l’uomo incatenato sulla rupe più alta, nudo. Esposto alle intemperie e alla furia divina, divorato dal male che lui stesso ha generato.
Oppenheimer è un film che costringe a riflettere
L’universo è folle e risponde a regole sconosciute, aveva scritto Daniel Greenberger, fisico statunitense, a proposito della meccanica quantistica, ed è esattamente su questo che Nolan ci costringe a riflettere. La complessità dell’essere umano, la sua impietosa razionalità, i sentimenti di cui siamo schiavi. Non solo l’amore o la passione, ma l’invidia, la solitudine, l’avidità, il tradimento, l’ambizione. Lo fa per sottrazione cromatica, alternando al colore scene verbosissime in bianco e nero.
Racconta così la discesa di Oppenheimer negli inferi, il lavoro in laboratorio e le riunioni top secret, il post atomica con i corpi dilaniati, i sospetti. Le controverse udienze cui fu costretto a sottoporsi in pieno maccartismo, per mano della sua nemesi Lewis Strauss, uomo d’affari e membro della AEC. Interpretato da un Robert Downey Jr. in stato di grazia.
Il maestro Ludwig Göransson modula la musica di synth e archi a suoni e silenzi feroci. Infatti in questa storia, nella nostra Storia, sono molte le cose inudibili. Non per i segreti o le bugie, ma per le colpe. Per questo, Nolan ci impedisce di ascoltare quello che Oppenheimer ed Einstein si dicono in una delle prime scene del film, guardando le gocce di pioggia disegnare cerchi sulla superficie di un laghetto.
Dobbiamo attendere la fine. Attraversare il deserto, le aule della Caltech e i laboratori di Berkley, sederci su letti sfatti, leggere formule incomprensibili, camminare per i corridoi della Casa Bianca. Bisogna stenderci su materassi impolverati in un’alba che segnerà un prima e un dopo.
Guardare un uomo danzare tutta la vita tra la pioggia cercando di non bagnarsi.
Solo allora ci viene concesso di ascoltare l’indicibile, di sentire la verità, ed è una verità che non può renderci liberi. Non può, perché come scriveva Percy Bysshe Shelley nel suo Prometeo liberato:
“Tutti gli spiriti che servono il male sono schiavi”. Tutti, nessuno escluso.