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Il back to back pianistico di Jason Moran e Robert Glasper

Sembrano due tipi totalmente opposti quando li vediamo salire sul palco del Roma Jazz Festival dell’Auditorium Parco della Musica di Roma ieri sera. Jason Moran vestito come un brav’uomo degli anni Sessanta, completo di gilet di lana, cappello di feltro tipo Borsalino, e scarpetta classica, Robert Glasper come un rispettabile rapper, con pantaloni a cavallo basso, cappello di lana, nike, e una maglietta con la cover di Island Life di Grace Jones che riprende forse il dibattito razziale che ha scatenato Kim Kardashian posando con i glutei sproporzionati, un riferimento iconografico della discriminazione razziale della stampa bianca americana. Ma quando il concerto inizia capiamo subito che il dialogo è forte e i due pianisti originari di Huston, Texas, sanno come interagire e contaminarsi a vicenda. Si potrebbe pensare che Moran sia la componente più classica e Glasper l’effervescenza della contemporaneità, data la compostezza del primo e l’assoluta spensieratezza comica del secondo. Ma dietro la serietà di Moran si cela il talento dell’artista definito dal Rolling Stones come “il pensatore più provocatorio del jazz contemporaneo” che esplica la propria arte in diverse forme, come la multimedial art o le installazioni teatrali, prediligendo musicalmente l’avant-garde jazz e il post-bop. Mentre Robert Glasper vanta collaborazioni con The Abstract Q-Tip, il cantante nu soul Bilal (anche lui texano e compagno di scuola di Glasper), la mente eccelsa dei Roots, Questlove, e molti altri pilastri della black music contemporanea.

Due pianoforti a coda posti uno difronte l’altro per celebrare i 75 anni della Blue Note, dalle prime pubblicazioni che Moran definisce come “ impossibili da suonare se non ubriachi” alle ultime composizioni di Glasper, sotto la storica etichetta indipendente di New York dal 2005, anno della sua seconda pubblicazione.

Si conobbero alla Houston’s High School for the Performing and Visual Arts di Huston, spiega Glasper durante una pausa del concerto, “avevo 14 anni e lui 17, e sentii parlare di Jason Moran dalla mia professoressa che mi chiese se conoscevo o meno questo magnifico pianista. Così, mi dovetti impegnare seriamente per raggiungerlo”. Un impegno che l’ha portato al Grammy per il suo “Black Radio” del 2012 dove figurano featuring con i più importanti nomi del panorama musicale americano come Yasiin Bey aka Mos Def, Erykah Badu e Norah Jones che completano un album basato sul dialogo tra passato e presente, tra jazz e hip hop. Un dialogo riconosciuto da Bill Withers che, racconta Glasper in un’intervista, si presenta durante le registrazioni di Black Radio dopo che il tecnico del suono dello studio aveva sentito la band di Glasper improvvisare “A lovely day”. La prima voce di quell’album ripete “sperimentare per meditare”, e Moran e Glasper sembrano immersi nella meditazione più alienante mentre suonano a occhi chiusi pezzi come “Think of one” di Thelonious Monk, “Maiden voyage” di Herbie Hancock, o “A love supreme” di John Coltrane. Ma mentre tutti si aspettano dai due pianisti rivelazione del panorama jazzistico mondiale un’esecuzione fedele ed esemplare, arriva lo schiaffo della sperimentazione. Glasper appoggia una lattina sulle corde del piano che provoca dei suoni metallici, mentre Moran improvvisa una percussione con due maracas (o qualcosa di molto simile) appoggiate anch’esse sulle corde. E il risultato è un jazz che rasenta lo spiritual poggiando su un tessuto ritmico che rimanda alle basi hiphop. L’approccio al pianismo jazzistico lascia trapelare l’amore di Moran per Fats Weller e quello di Glasper per Ahmad Jamal, e quando i due rimangono rispettivamente soli sul palco il background di ognuno si mostra nella sua più commovente forma. Anche se, sul finire del solo di Moran, Glasper alleggerisce i toni rientrando sul palco ballando goffamente, finché l’imbarazzo del compare li porta a ridere come fossero due compagni di marachelle.

Pochi sono stati i titoli dei brani annunciati durante il concerto. Tra questi rientra anche la cover di “My block” del rapper Scarface, che i due presentano come “il pezzo di un compositore nostro concittadino”, in cui notiamo i sample di “Be real black for me” di Donny Hathaway e Roberta Flack.

Molti giornalisti si sono lamentati dell’assenza di titoli durante la performance, ma forse non è necessario cavillare al midollo per comprendere quanto queste due figure siano capaci di portarci su un più elevato livello di coscienza, liberandoci la mente dalla quotidianità semplicemente suonando con amore la storia della musica americana.

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