È uscito in questi giorni, edito da Hoepli, un testo di Barbara Maussier sugli scenari creativi nella società del tempo libero: Il Futuro degli Eventi.
L’autrice, Barbara Maussier, l’ha redatto utilizzando il metodo Delphi, un tipo di ricerca appreso dal suo maestro Domenico De Masi, che ha curato anche l’interessante prefazione del libro. Un’indagine Delphi, com’è noto, si basa sulla raccolta d’informazioni fornite, tramite questionari, da un gruppo di esperti che rispondono senza conoscere né i nomi, né le risposte degli altri. Al termine viene svelato il panel e vengono pubblicati i risultati.
Io, scelto in quanto comunicatore, sono stato piacevolmente coinvolto in questo processo assieme ad altri dieci esperti internazionali del settore: Alfredo Accatino, Lucio Argano, Roberto Cipriani, Greg Clark, Luca De Gennaro, Sonia Ferrari, Donald Getz, Eric McLuhan, Paolo Polettini e Robert A. Stebbins.
La ricerca, iniziata nel 2016 da Barbara Maussier, offre una descrizione del fenomeno “eventi” con una proiezione al decennio successivo, il 2026. Il testo è molto articolato, completo e complesso, per cui sintetizzarne i risultati è arduo. Per chi fosse interessato al “fenomeno eventi”, qui posso solo dare conto di una sintesi del mio contributo che, certo, non intende escludere l’utilità di leggere tutto il libro, anzi lo suggerisce.
Mimmo De Masi, nella sua illuminante prefazione, ci ricorda che l’attuale vita media di 83 anni presuppone che un ventenne abbia davanti a sé 63 anni di vita. Lavorerà per 40 anni, dedicando quindi al lavoro 69.000 ore. Gliene rimarranno 482.880 di non-lavoro. Cosa farà durante questo tempo? Per questo il primo punto affrontato dal testo riguarda l’evoluzione del tempo libero.
L’evoluzione del tempo libero
A me è parso utile indicare che la centralità del tempo libero svolgerà una funzione sociale di bilanciamento dei diversi squilibri che scuoteranno il mondo.
La costruzione identitaria dell’individuo sarà fortemente influenzata dalla quantità del tempo risparmiato grazie allo sviluppo tecnologico che consentirà una migliore qualità della vita.
Questo eviterà molti degli attuali inutili spostamenti, si avrà una riduzione della burocrazia, si assumerà una nuova consapevolezza sul concetto di tempo necessario per l’espletamento dei nuovi modi di studiare e di lavorare.
Pertanto la partecipazione culturale entro il 2026 aumenterà notevolmente, come l’interesse per gli eventi, in particolare quelli in grado di “garantire” un trasferimento in località attrattive e tranquillizzanti dal punto di vista della sicurezza.
Lo scopo sarà quello di associare al concetto di cultura (inteso come apprendimento, crescita, evoluzione) anche il concetto di utilità economica.
A differenza di quanto affermato a suo tempo da un politico che sosteneva “con la cultura non si mangia”, è prevedibile che la cultura, grazie agli eventi, assumerà il ruolo di asset strategico con il quale sviluppare anche interessi economici. L’integrazione con lo sviluppo delle comunità locali è auspicabile; sarà però complesso realizzarlo ed è quindi poco prevedibile che possa manifestarsi in modo realmente funzionale.
I fattori determinanti per il successo di un evento saranno pertanto quelli di saper fondere armonicamente le nuove esigenze con quelle tradizionali, poiché, nonostante tutti gli indicatori siano puntati su un radicale cambiamento dell’uomo del 2026, questi sarà come sempre ancorato (psicologicamente) al passato. Ancora una volta, in modo gattopardesco, varrà il motto: “Cambiare tutto perché nulla cambi” poiché non è facile, e non lo sarà neanche in futuro, abbandonare le vecchie abitudini.
Il nuovo spaventa, la tradizione rassicura.
Ci si è poi domandati se gli eventi, da qui al 2026, saranno uno strumento in grado di trasmettere cultura.
La vera sfida sarà quella di essere nuovi senza apparire troppo innovatori.
Ad esempio Torino, dopo aver rinnovato il proprio Public Management turistico e dopo le Olimpiadi della neve di qualche anno fa, si è davvero molto trasformata, mostrando una vera discontinuità, da Città della Fiat a Città del Terziario. Gli esempi sono: il Nuovo Lingotto, la Fiera del Libro, lo Slow Food, il rinnovato Museo Egizio, il Museo del cinema. Tutti trovano Torino piena di appeal, anche grazie alla sua classicità, alle sue tradizioni culturali di ex capitale, alla sua sobria bellezza.
Torino non sapeva cosa fosse il turismo: ora è la dimostrazione che è possibile, anche se è difficile, innovare conservando. Pertanto, l’interesse per attività speciali da praticare in modo ordinario sarà sempre più rilevante. Il Serious Leisure è stato indotto dalla teoria dello sviluppo sostenibile: l’eco-turista è il simbolo di una persona impegnata a conservare la natura che usa lo svago culturale per praticare attività che perseguono con coerenza le sue scelte.
È evidente che dovrà essere sviluppato il dialogo tra culture, soprattutto a causa delle sempre maggiori migrazioni di popoli, ma questo meticciato culturale non sarà facilmente realizzabile. Le principali difficoltà saranno procurate anche dalle posizioni politiche che tendono a esaltare le differenze culturali anziché cercare di superarle.
Inoltre, non sempre esiste una coesione sociale che possa consentire dei progetti comuni: la conflittualità tipica del campanilismo paesano è, in questo processo, il freno maggiore.
Basti pensare alla difficoltà di creare dei consorzi che potrebbero consentire, soprattutto in piccole realtà territoriali, l’applicazione del concetto di albergo diffuso per una più qualificata politica dell’ospitalità in termini di rete territoriale. La progettazione a lungo termine d’infrastrutture per eventi dovrebbe entrare a far parte di una saggia e lungimirante politica urbanistica.
Vi invito a leggere tutto il resto dell’indagine. È utile!