Difficile da credere, ma la fila che attraversa l’Auditorium sembra quella di un concerto rock. Tanta attesa non è però dedicata alla band di turno, ma alla “strana coppia” Wes Anderson e Donna Tartt, lui regista di culto, lei scrittrice Premio Pulitzer 2014 con il romanzo Il cardellino. Due diverse sensibilità, due linguaggi distinti, volutamente combinati sul palco dal direttore artistico Antonio Monda, che li introduce al pubblico romano e lascia aprire l’incontro proprio alla Tartt, seguendo lo schema ormai consolidato che prevede una selezione delle “scene del cuore”, dei film che hanno influenzato profondamente il modo di osservare la realtà per i protagonisti della serata.
Stavolta 4 film su 5 sono scelti dalla Tartt, ad Anderson sarà concesso il privilegio di chiudere l’incontro con una sua personale scelta.
La prima scelta cade su Medea di Pier Paolo Pasolini. Amo il suo ritmo ipnotico e ritualistico, e sebbene Medea sia uno dei personaggi che parla di più nei classici greci, ed è interpretato da una cantante celebre per la sua voce come Maria Callas, nel film dice forse dieci parole in tutto: è davvero inaspettato.” Wes Anderson sottolinea invece l’atipicità di questo film, che rappresenta l’idea di classico allontanandosi anni luce dalla pomposità hollywoodiana, avvicinandosi con il suo rigore visivo allo stile del documentario.
Si prosegue con La notte di Antonioni (1961), un film su cui ha indugiato il giorno prima anche Paolo Sorrentino. Cosa rende questa pellicola così affascinante? La scena è quella celebre della passeggiata di Marcello Mastroianni e Jeanne Moreau.
È un film ossessionante, forse il migliore sulla solitudine mai girato, ed è incredibile questo momento in cui Marcello Mastroianni e Jeann e Moreau escono alla luce, all’alba: perché fuori è giorno, ma loro sono ancora la notte, il buio. Sembrano un quadro di Piero della Francesca.
Antonioni è stato di fondamentale ispirazione anche per Wes Anderson. Il primo film di Antonioni che ho visto è stato L’avventura. A 19 anni, quando mi è venuta l’idea di fare film, ho incontrato questo regista per cui lo stile è così impressionante e personale, così di rottura rispetto a quello che è venuto prima, che ho pensato di voler essere così. Mi ha colpito più di Fellini, perché più inaspettato.
Arriva poi da Antonio Monda una domanda quasi inevitabile, visti gli ospiti: il rapporto intricato tra cinema e letteratura, due diversi modi di narrare e raccontare storie. Wes Anderson la pensa così a proposito: Non sarei sorpreso se il 60% dei film che si producono oggi si rivelassero adattamenti di un libro. Per Grand Budapest Hotel abbiamo rubato un po’ di cose a Stephen Zweig, abbiamo preso che volevamo, inventando però tutto il resto. È questo il modo in cui amo lavorare: non voglio adattare in maniera tradizionale, voglio prendere qualcosa e poi costruirci intorno il mio film. Anche perché se ti cimenti in un adattamento tradizionale, alla fine si dice sempre che il libro è meglio del film, quindi…
Per Donna Tartt invece è bello quando il film diventa qualcosa di diverso rispetto al libro. Pensiamo a quel che ha fatto Kubrick con Shining rispetto al libro di Stephen King.
Si pesca anche dal repertorio più caro ai cinefili con La signora di tutti, un film del 1931 del regista austriaco Max Ophuls, anche se interamente di produzione italiana.
Mi piacciono i movimenti di macchina di Ophuls, mi piace la struttura narrativa di questo film con i flashback alla Viale del tramonto molto radicali per l’epoca. Kubrick, che amava molto Ophuls, diceva che era in grado di far passare la macchina da presa attraverso i muri, e qui la cosa avviene letteralmente. È poi molto moderno che nessuno si curi del fatto che la protagonista stia morendo, ma solo delle conseguenze sul sistema produttivo e mediatico. Ho scoperto questo film perché amo moltissimo Lola Montes, e avevo letto che La signora di tutti ne era un percursore, quindi sono andata a cercarlo.
Per Wes Anderson arriva anche qualche domanda dal pubblico: hai mai pensato di fare un film horror o di Natale? Se ho pensato di girare un horror, o un film di Natale? Sì, tutti e due, ma separati. Un horror mi sfiderebbe, mi obbligherebbe a scegliere un tono, mentre io sono abituato a rimanere nell’incertezza non sapere se certe mie scene siano buffe o tristi. Il film di Natale invece può renderti ricchissimo: se lo fai bene, lo rifanno ogni anno in tv.
Ci si avvicina alla fine dell’incontro e Wes Anderson svela finalmente la sua scelta, caduta su Il guappo, primo episodio de L’oro di Napoli di Vittorio De Sica, che sarà proiettato in sala di lì a pochi minuti. Da un paio di anni a questa parte, da quando l’ho visto la prima volta, è per me una sorta di missione far conoscere il più possibile questo film. Per me è un capolavoro, al pari di altri celebrati film di De Sica. Mi piace la forma omnibus, l’insieme di tante storie come in un libro di racconti, che De Sica racconta utilizzando toni completamente diversi; e Totò è uno straordinario Buster Keaton italiano.