Si apre con una coppia il ciclo di incontri della decima Festa del Cinema di Roma. I flash hanno smesso di brillare da un po’ sul red carpet dell’Auditorium di Renzo Piano, e in una sala Sinopoli stracolma, entrano loro: Joel Coen pacato e con l’aria da intellettuale, Francis McDormand affabile e dalla battuta facile. Sono i primi ad incontrare il pubblico romano insieme al direttore artistico Antonio Monda, che li intervista ed introduce in una scaletta ideale, le scene che Joel e Frances hanno amato di più nella loro vita. In trent’anni di matrimonio (a casa e sul set) hanno lavorato spesso insieme in film come Arizona Junior, Fargo, L’uomo che non c’era e Burn After Reading.
Ma come si sono incontrati? Lo racconta Frances:
Lo vidi, seduto a un tavolo, con un posacenere pieno di cicche: era tutto il giorno che fumava. Gli ho chiesto una sigaretta. Loro mi hanno detto allora di tornare nel pomeriggio, alle due. Gli dissi: “Non posso: il mio ragazzo ha avuto una particina in una soap, gli ho promesso di guardarla. Alle quattro va bene lo stesso?”. Imparate a dire dei “No”. Mio marito non fa che dirmi che mi hanno presa per quel ruolo che mi ha cambiato la vita solo perché rifiutai il primo appuntamento proposto. Ho dato prova di essere interessante. Ma anche di grande lealtà, non trovate?.
Frances McDormand e Joel Coen si incontrano la prima volta a New York nel 1984 sul set del film Blood Simple, il loro esordio cinematografico. Un noir in cui i due registi si sono divertiti a sovvertire un genere, creando un intricato gioco di specchi tra i personaggi: ognuno di essi è contemporaneamente vittima e carnefice. Durante la lavorazione del film la McDormand stessa racconta di essersi affinata come attrice, venendo dal teatro aveva imbarazzo con la macchina da presa, tanto che una volta Joel la fermò e le disse “Guarda che ti stiamo riprendendo solo la mano!”.
La McDormand ha impersonato spesso ruoli della low/middle class e forse per questo ha sentito quella di Anna Magnani come una figura molto vicina. Racconta di aver visto nelle foto dell’attrice romana un volto che rappresenta la vita, come le attrici americane non sanno e non sapevano fare. L’interpretazione che Joel preferisce di Frances non è però in un suo film, bensì quella drammatica di Olive Kitteridge nell’omonima serie televisiva diretta da Lisa Cholokenko.
Un’altra interpretazione che è rimasta scolpita nella memoria degli spettatori è quella in Fargo, (premio per la miglior regia al 49º Festival di Cannes e due Premi Oscar, uno per la Miglior sceneggiatura originale e l’altro come Miglior attrice protagonista).
Molti mi ricorderanno per sempre Marge Gunderson, anche se io non sono lei e anche se ho fatto anche numerose altre parti. Sono orgogliosa di aver interpretato Olive Kitteridge , ad esempio, perché è ruolo altrettanto forte e caratterizzante: il che sta a significare che forse sono cresciuta e migliorata. Di Fargo ho sempre pensato come al nostro film, come al nostro filmino di famiglia.
Le domande fanno anche capire più da vicino il metodo di lavorazione dei fratelli Coen. Tutto nasce da lunghe chiaccherate tra me ed Ethan, possono durare giorni, mesi, anni. Si parte da alcune idee che ci vengono in mente, alcune di queste ci portano a scrivere subito una sceneggiatura.” Non a caso sono conosciuti nel mondo del cinema come “il regista a due teste” e se gli attori sul set vanno dall’uno o dall’altro per avere indicazioni, riceveranno sicuramente la stessa risposta.
Spesso Ethan e Joel scrivono la parte per un personaggio avendo già in mente un attore: è capitato con la stessa McDormand, per Steve Buscemi, o per altri della cerchia di attori che i due registi preferiscono per i loro film.
Qual è invece il film dei fratelli Coen che Frances preferisce? Non ha dubbi, è “A proposito di Davis”.
Un film sulle conseguenze delle nostre azioni, sull’integrità morale, sull’onestà vissuta fino alle sue estreme conseguenze. Il personaggio è un perdente dal grande talento, ciò che loro due non sono mai stati, ed è questo l’aspetto sorprendente. Sono riusciti a immedesimarsi e a raccontare quell’esperienza, e dopo trent’anni di carriera non è così scontato. Ho sempre sognato che dovesse esserci una trilogia, con “L’uomo che non c’era”,”Llewyn Davis” e chissà, un terzo in cantiere…”
ph. Laura Carrozza