Un cineasta indipendente, che cura le storie e le persone che racconta con tocchi sensibili, di rara profondità.
Todd Haynes é questo, e molto altro. Incontra il pubblico della Festa del Cinema di Roma in una sala meno pomposa della Sinopoli o Petrassi, location che hanno ospitato Wes Anderson e la coppia McDormand/Coen, e questo suggerisce da subito il suo approccio al mondo del cinema (al pari di quello dei suoi estimatori).
Si intrattiene con il pubblico a fine serata, rispetta il lavoro della traduttrice (che tradisce qualche momento d’emozione), ricorda Heath Ledger con una dolcezza propria di chi certamente non gonfia l’ego ogni giorno a colazione.
Racconta della sua passione viscerale per il cinema tedesco, in particolare per Douglas Sirk, cineasta a lungo considerato di serie B che ha, invece, firmato alcuni tra i capolavori del cinema degli anni ’40, e per il suo “ammiratore” più celebre, Fassbinder. Si entusiasma parlando di Antonioni, della sua capacità di trasportare sullo schermo una perfezione visiva fatta di luci, fotografia, immagini, definizione dello spazio.
Innovativo, delicato, profondo, attento. Un regista che riesce a non far andare su tutte le furie Bob Dylan dopo aver girato un film sulla sua vita e carriera, deve necessariamente avere qualcosa di speciale. Ciascuno dei film che realizza è diverso da quello precedente, così come dal successivo. Il suo marchio di fabbrica risiede solo nelle storie che sceglie: i personaggi sono tutti in palese e forte resistenza al modello assegnato dalla società in cui si muovono.
Accade lo stesso per le protagoniste di Carol, capolavoro presentato in anteprima alla Festa del Cinema e in uscita nelle sale italiane a febbraio 2016.
Due donne, due classi sociali lontane, due fasi della vita, due consapevolezze distanti. Non potrebbero essere più diverse, Carol e Therese.
“Carol è una storia d’amore che tende a dimostrare come la verità sia in assoluto il miglior tonico. Se sei emotivamente onesto con te stesso, su chi sei e in cosa credi, le cose potrebbero non andarti bene, ma sarai certamente una persona migliore”, afferma la sceneggiatrice Phyllis Nagy. Sono la verità, l’onestà, il coraggio di seguire il proprio istinto, anche a costo di pagare conseguenze elevate, ad accomunare le due protagoniste.
New York, anni ’50. Difficile immaginare un momento peggiore per una storia d’amore tra due donne con vent’anni di differenza, e due stili di vita agli antipodi. Facile cadere negli stereotipi e nel racconto melodrammatico e melenso di una storia contrastata. Todd Haynes riesce ad evitare tutto questo: il film è poetico, raffinato, delicato, di grande atmosfera. Non insegue il lieto fine ad ogni costo, non parteggia per atteggiamenti politically correct.
Ispirato al celebre romanzo di Patricia Highsmith, The Price of Salt, che fece molto scalpore nel suo anno d’uscita (1952), Carol si apre con un omaggio stilistico: Haynes riprende la scena iniziale di uno dei suoi film preferiti, Breve incontro (David Lean, 1945). Da quel momento, inizia il racconto a ritroso della storia d’amore tra Carol, affascinante up town lady interpretata da una superba Cate Blanchett, e Therese, timida e giovane commessa in un grande magazzino (Rooney Mara). Carol è la moglie inquieta e irrequieta di un ricco banchiere, e ha una figlia piccola; Therese è promessa sposa di Richard, perfetta incarnazione del sogno americano medio (matrimonio, figli, moglie casalinga, villetta con giardino in un tranquillo quartiere residenziale).
Therese non è un capriccio per Carol, e viceversa. Entrambe sono pronte a sfidare le rigide convenzioni sociali dell’epoca, entrambe sono pronte a perdere, pur di perdersi. Carol é il racconto romantico ma per nulla zuccheroso di un viaggio che è insieme reale e figurato. Un viaggio sulle strade della provincia americana degli anni ’50, un viaggio nella profondità dell’anima e del corpo della persona amata. Costumi da Oscar, fotografia impeccabile, interpretazioni intense e toccanti: Haynes ha realizzato, in soli 35 giorni, un’opera di struggente bellezza, confermandosi tra i registi più capaci (e sottovalutati) della sua generazione. Imperdibile.
Laura Carrozza
Lascia ben presto la sua assolata Puglia per trasferirsi a Roma, poi a Firenze, a Copenhagen e a Phoenix, in Arizona, dove ritrova il caldo torrido delle estati di casa. Una laurea in legge alla Luiss, un master in comunicazione, media e studi culturali e un corso di specializzazione in marketing. Lavora come brand manager per Wonderbra, per approdare successivamente al mondo dell’energia (i percorsi della vita sono sorprendenti). Se potesse, vivrebbe con una valigia sempre pronta per ogni destinazione, piena di vestiti, libri e vinili. Ha scritto articoli per riviste musicali, magazine di viaggi, blog di moda. Vorrebbe che il giorno fosse fatto solo di pomeriggi, nel frattempo impegna le ore libere per lanciare la sua start up che si occuperà di marketing e comunicazione, perché il primo amore non si scorda mai. Irrequieta, e inquieta, cerca di capire dove la porterà il domani, non dimenticando di lasciarsi sorprendere dall’oggi.
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