È un’impietosa fotografia quella di Eurisko che mette a confronto la fiducia degli italiani nelle Istituzioni a distanza di due anni (2011-2013). Non una sola istituzione registra un segno positivo. Crolla, e in pari misura (-21%), la fiducia nell’Europa, nello Stato italiano e nel Parlamento.
Perfino due capisaldi storici come Forze dell’Ordine e Forze armate perdono punti, e la crisi di credibilità dei Sindacati tocca un nuovo record negativo: solo il 27% degli italiani ha fiducia in loro. Le Associazioni degli imprenditori si attestano a un più confortante 42%, comunque preoccupante rispetto al 55% di due anni fa. Meglio le PMI, comunque in discesa anche loro di 10 punti. La Chiesa è quella che perde di meno, ma comunque perde (-8%).
In questo quadro, c’è davvero da sorprendersi che gli italiani dimostrino un favore crescente verso Matteo Renzi, l’unico che rompe gli indugi e vuole muoversi per arrestare la discesa e puntare a risalire, che contrappone lo scatto alla stagnazione e al freno perennemente tirato? Che dice che le decisioni, dolorose che siano, devono essere prese e se Sindacati e Confindustria non sono d’accordo “ce ne faremo una ragione”. Che, tradotto alla luce delle percentuali di fiducia in tabella, vuol dire “ se ne facciano loro una ragione, che l’Italia deve andare avanti…”.
Certo lo fa con le slide, con il linguaggio e gli strumenti dei formatori, dei comunicatori e, è vero, anche dei markettari della pubblicità. Talvolta con le mani in tasca nei momenti ufficiali, e il cappotto abbottonato “svirgolo”, e qualche grattatina di troppo. Ma la totale discontinuità comunicativa con paludati e deludenti predecessori, fa apparire nel suo anacronismo polveroso tutto il politically correct precedente.
Ma allora dobbiamo credere acriticamente e ciecamente nel Renzi Salvatore? No, così sarebbe renzismo: cioè il vecchio modo per trasformare qualsiasi spinta innovativa nel culto dell’Uomo del Destino. Occorre aiutare piuttosto, con una quotidianità criticamente propositiva, questa nuova generazione al governo a non demordere dalle decisioni difficili. Aiutarlo a formulare una proposta di patto generazionale, che leghi in maniera stretta e inscindibile il sacrificio economico, che si chiederà alla generazione dei padri e dei nonni, a benefici visibili e immediati per le generazioni dei figli e dei nipoti.
Probabilmente una tale proposta arriverà dopo che le prime riforme del governo Renzi (vedi più soldi in busta paga) saranno realtà. Con quel plus di credibilità Matteo Renzi (e con lui l’Italia e quindi tutti noi) dovrà giocarsi la carta “patto generazionale”. Per una tale ipotesi occorrerà di nuovo una forte discontinuità comunicativa con il passato: un linguaggio verbale e non verbale che convinca gli italiani che la solidarietà intergenerazionale non può restare confinata negli ambiti familiari e deve diventare politica sociale e politica economica. Condivise.
Forza Matteo, convincici che la solidarietà è un investimento. Con o senza slide. Ma convincici, ché senza l’opinione pubblica a favore, torna la sindrome del “gattopardo”, quella che nega perfino la speranza.
Marco Stancati | Bake Agency