D’estate Roma perde la sua Grande Bellezza e si arroventa, schiacciata da un’afa insopportabile. Una giovane donna dai capelli rossi, precaria e sottopagata, ama talmente le piante da rubarle dagli androni e prendersene cura sul suo terrazzo. E’ lei la protagonista del romanzo La ladra di piante di Daniela Amenta (290 pag., 16€, Baldini&Castoldi), il suo misterioso vicino di casa è un cronista fallito a caccia di tenerezza e di riscatto nella vita. Un vecchio giornalista sta perdendo la memoria e si circonda di gatti randagi. Due ricchissime e avide donne accumulano soldi. Sullo sfondo di quel quartiere di Roma che sa di mare: un pezzo di metropoli trasformato in una mappa di luoghi e sentimenti, dove crescono ancora le aspidistre e piccoli sogni di resurrezione e d’amore. Per scoprire l’origine e l’ispirazione del romanzo abbiamo intervistato l’autrice Daniela Amenta.
“Una questione di sguardi, di pupille prima che di sentimenti”. Il rapporto che descrivi con le piante è fisico, ancora prima che affettivo. Quando (e come) è iniziato il tuo “pollice verde”?
Tutto il libro guarda, descrive e racconta con un piglio materico le cose e gli stati d’animo. Roma, ad esempio, che è la grande coprotagonista del romanzo è narrata attraverso gli odori dei quartieri, il rumore del Tevere, i suoni che emette, ad esempio, il Gazometro di notte, quando tira vento. Ho voluto privilegiare l’aspetto sensoriale nella descrizione e nella narrazione. E così il rapporto tra Anna, la ladra di piante che dà il titolo al romanzo, e il suo piccolo mondo vegetale, è concreto: la durezza dell’acqua, la pastosità della terra, lo spessore delle foglie, la carnosità dei fiori. Amo da sempre le piante, credo già da bambina grazie a mia nonna e mia madre, giardiniere provette. Credo, tuttavia, che non esista il pollice verde in quanto tale. Con le piante, come nel resto della vita, è una questione di cura. Se le cose si curano, se gli esseri si curano, se I luoghi si curano danno frutti e risultati meravigliosi.
Anna, Riccardo, Lanfranco e Sabino: qual è il filo rosso che lega i quattro protagonisti del tuo libro?
Sabino e Lanfranco sono i mentori di Anna e Riccardo. Il primo è il giardiniere che insegna ad Anna i “trucchi” del mestiere. E’ un ortolano diventato giardiniere che cura il vivaio dove lavora con passione e dedizione, e aiuta questa bizzarra allieva a districarsi tra le magie della botanica. Lanfranco è un vecchio informatore, in qualche modo un maestro per il giornalista Riccardo. Quella dell’informatore è una figura realmente esistita nel mondo del giornalismo fino agli anni Novanta, quando Internet era agli albori e si comunicava ancora con il telefono fisso o a gettoni. Si trattava di un cronista andato in pensione che si piazzava nella sala stampa della Questura e dava informazioni alla redazione sui fatti di cronaca nera attraverso I brogliacci di polizia e carabinieri. Se c’era un omicidio, un fattaccio, anzi un “pasticciaccio” per citare Gadda, il giornalista lo veniva a sapere grazie all’informatore, si precipitava sul posto e poteva iniziare a seguire il caso, raccontandolo poi ai lettori. Questi quattro personaggi, ognuno a suo modo, rappresenta una generazione. Una solitudine, una sospensione. E in questo vuoto in cui galleggiano si ritrovano come anime che si appigliano l’una all’altra per sopravvivere.
Sei una giornalista di lungo corso, sia della carta stampata che della radio. Com’è nata la tua passione per la fiction e l’idea di scrivere un romanzo?
Nel libro racconto, in realtà, pezzi della mia vita. Sono stata una cronista di nera e un critico musicale, come Riccardo Valdesi, che è il giornalista che abita sullo stesso pianerottolo di Anna. Amo moltissimo le piante, I gatti, amo e odio Roma. Ho mescolato questi ingredienti aggiungendo l’elemento del noir. Il risultato, che spero gradevole, è questo romanzo definito da molti un “giallo botanico”.
Per quelli meno pratici, cosa sono esattamente i “foglioni”?
Sono le aspidistre, piante molto forti, toste, che necessitano di poche attenzioni. E infatti normalmente si trovano negli androni dei portoni, sui pianerottoli, nelle sale d’attesa dei medici. Piante che negli anni Sessanta punteggiavano di verde le nostre città e che poi sono andate sparendo. Perché anche in questo ambito siamo condizionati dalle tendenze. Ora vanno di moda le piante tropicali che estirpiamo dal loro habitat e costringiamo a vite di stenti sotto il getto dell’aria condizionata o in stanze troppo buie o troppo assolate. Non riconosciamo l’unicità di ogni specie, trattiamo creature viventi come le piante al pari di soprammobili, ne cambiamo I cicli con arroganza. In piccolo anche con le piante d’appartamento ci comportiamo come per il resto del pianeta: senza cura. Senza alcun rispetto.
La musica e i musicisti hanno un ruolo fondamentale nelle vicende del romanzo. Dai Clash a Bill Evans (per citarne due) quali ti hanno più ispirata per scriverlo e come cambiano il mood dei protagonisti del libro?
Il libro contiene una gigantesca colonna sonora che risuona pagina dopo pagina. C’è molto jazz, da Monk a Mingus e a Bill Evans che è il mio pianista preferito, passando attraverso I territori del grande rock: Beatles, gli Who, Iggy Pop, gli Steely Dan, I Ramones, Lou Reed e naturalmente i Clash, la mia band preferita forse in assoluto. E siccome un libro è anche opera di fantasia mi sono concessa il lusso di far rivivivere Joe Strummer tra le strade di Roma….
Nel libro racconti la Roma contemporanea con un filo di amarezza, scrivi che si è scoperta “con un cuore nero, cattivo e respingente”. Guardando anche all’attualità, riuscirà secondo te a risalire la china?
Non lo so. E’ una città che ha smarrito la propria anima, la propria storia, non ha più una lingua, ha un’identità confusa. E’ gigantesca ma non è una metropoli, quanto piuttosto una sequenza infinita di periferie. E non sa accogliere. Ieri era “mamma” questa città, Mamma Roma. Oggi è attraversata dalla paura, dalla diffidenza, non sa accogliere I figli che arrivano da lontano. Gli ultimi scandali sono solo le cicatrici più evidenti di un processo di smembramento etico, morale. Roma ha abdicato. E temo I romani con lei.
Daniela Amenta vive e lavora a Roma. Giornalista, è il capo delle culture dell’Unità. Per anni ha scritto di musica e ne ha parlato in radio, a lungo si è occupata di cronaca nera. Questo è il suo primo romanzo.