(alla Maiolino il Leone d’Oro alla carriera della Biennale di Venezia 2024)
La Biennale di Venezia annunciò con grande anticipo che, nella sessantesima edizione che si è aperta il 20 aprile e chiuderà il 24 novembre 2024, il Leone d’Oro alla carriera sarebbe stato assegnato a due artiste: Annamaria Maiolino e Nil Yalter. Della seconda, sinceramente, non sapevo nulla ma della prima ero e sono grande ammiratore e un buon conoscitore dell’opera.
Ebbi una duplice reazione all’annuncio: di esultanza come per una persona di famiglia e d’irritazione per la stampa che, nel riportare la notizia, per lo più definiva la Maiolino “artista brasiliana”. E ci volle un po’ di tempo prima che i media correggessero il tiro: italiana di nascita (Scalea in Calabria) e brasiliana di formazione artistica.
Diciamolo: al momento dell’annuncio la Maiolino non era riconosciuta in Italia quanto avrebbe meritato. Del resto, era già famosa a livello internazionale, quando finalmente il Paese dei suoi natali si accorge di lei: una personale nel 2015 al Castello di Rivoli, poi nel 2016 al Museo d’arte contemporanea di Ferrara (Biennale Donne-Silencio vivo) e, finalmente, la grande bellissima retrospettiva al PAC di Milano nel 2019.
IL DOLORE E L’AMORE
La storia di Annamaria è storia di emigrazione: quella degli anni 50 del secolo scorso che portarono molti meridionali, soprattutto calabresi, verso il Venezuela che appariva come una terra promessa. Tra questi, la dodicenne Annamaria con parte della sua famiglia. E questa condizione di emigrante la segnerà profondamente lasciando testimonianze evidenti nelle sue opere che esplorano ripetutamente il senso di appartenenza, il dolore e l’identità difficile, lacerante di essere straniera alle prese con una lingua sconosciuta.
A 18 anni si trasferirà in Brasile, dove vivrà gli anni pesanti del regime militare maturando la sua esperienza artistica attraverso l’utilizzo progressivo di tanti mezzi espressivi: disegno, collage, pittura, scultura, fotografia, ceramica, video, installazioni, performance … La pratica artistica come salvacondotto esistenziale e professionale: “Lavorare come artista mi permise di situare i miei sentimenti nel mondo e di trasformare questa ‘mancanza’ in una compensazione attraverso un costante processo di elaborazione di segni e metafore… Per me, per formare me stessa come persona, per imparare a stare nel mondo con le sue brutture e la sua bellezza, fu anche un modo di formare me stessa come artista”.
A RAVELLO LA SCOPERTA DELLA MAIOLINO
Erano i primi anni del 2000 quando, durante un’edizione del festival di Ravello, organizzato dal professor De Masi, alcuni suoi amici brasiliani, saputo delle mie radici calabresi, mi parlarono della Maiolino: “uma artista italiana, calabresa como você, muito famosa no Brasil, extraordinaria …” e mi mostrarono una rivista con diverse opere e immagini che facevano riferimento anche a “Entrevidas”. Da allora cominciai a cercare notizie sulla “calabresa como você”!
Entrevidas (Tra le vite), nasce da una performance avvenuta a Rio de Janeiro nel 1981 e presentata come installazione a San Paolo del Brasile nello stesso anno: un’opera nata nel clima di precarietà, incertezza, diffidenza suscitata dalla situazione politica. Il Generale João Figueiredo, Presidente del Brasile, promette un ritorno alla democrazia: ma solo nelle dichiarazioni, la realtà quotidiana è ben diversa e giorno per giorno diventa sempre meno credibile.
La Maiolino dà corpo al senso di precarietà sempre più diffuso scegliendo l’uovo come metafora di coesistenza tra vita e morte: sparge per terra centinaia di uova e invita poi gli spettatori a essere partecipi della performance “camminando tra le uova”. Una situazione che richiede grande cautela e totale concentrazione: il pubblico sperimentava così quel senso di precarietà e la necessità del controllo costante di ogni gesto. Solo per poter sopravvivere.
Molti anni dopo nel 2019 avrò il piacere, nell’ambito della grande retrospettiva dedicata alla Maiolino al Pac di Milano dal titolo “O Amor Se Faz Revolucionário”, di vederla durante la performance “Al di là di”: due donne, una giovane, una anziana, un drappo rosso anch’esso protagonista di una storia raccontata senza parole, ma con voci interne, con la forza dirompente di gesti di lotta, di disperazione, di resa, di ribellione e, alla fine, di tenerezza infinita.
Ho visto in quell’occasione un pubblico profondamente turbato: quanto dolore personale proiettato da ogni spettatrice nelle due protagoniste? Quante ferite fisiche e psicologiche in quel panno scarlatto? Quanto desiderio di abbracci, di mani che, mettendo a posto i capelli, confermano che ci può essere ancora un gesto d’amore e d’accoglienza ad attenderci?
UN GRANDE RICONOSCIMENTO, UNA PICCOLA RIVINCITA
Una decina d’anni fa partecipai a una tavola rotonda sul rapporto tra arte e comunicazione. Citai la Maiolino e la sua capacità di rappresentare, con una pluralità di forme e metafore artistiche, la necessità di continuare a esprimersi, a relazionarsi, anche sotto regimi non libertari, inventando canali e strumenti di comunicazione basati sulla forza del gesto, della postura, della fisicità. Subito dopo parlò uno storico e critico d’arte che prima mi blandì, affermando che ero un formidabile affabulatore che catturava l’attenzione del pubblico, per poi assestare il colpo: “… però la Maiolino è una grandissima artigiana, non un’artista. Forse le comuni radici calabresi ti hanno condizionato nel giudizio …”. Come dire: non ti allargare, non è il tuo campo, e sei pure di parte! Incassai.
La prima cosa che feci dopo l’annuncio del premio alla Maiolino fu rintracciare l’indirizzo e-mail dello storico e critico d’arte e inviargli un breve messaggio: “Chiarissimo, se ne faccia una ragione: La Biennale ha assegnato il Leone d’Oro alla grande artigiana calabro-brasiliana!”.
Devo dargli atto di avermi risposto con tempestiva eleganza, non priva di una piccola stilla di veleno: “Touché; proprio vero che voi calabresi non dimenticate!”
INCONTRARE ANNA MARIA: “INDO & VINDO”
Incontrarla. Innanzi tutto, nel senso di trovare la sua installazione site specific, cioè, concepita per inserirsi in un determinato ambiente: in questo caso, un edificio (“Casetta Scaffali”) nel Giardino delle Vergini. Può non essere semplice rintracciarla per i visitatori frettolosi, per i neofiti, per chi confonde quel giardino con i Giardini della Biennale.
Il Giardino delle Vergini è alla fine dell’Arsenale, dopo lo spazio verde del Padiglione Italia. L’installazione della Maiolino è nell’edificio che ho identificato con il circoletto rosso e la freccia. Questa mappa può aiutare a individuarlo meglio; perfino alcuni addetti ai lavori l’hanno mancata questa significativa installazione, che racconta molto bene la sua autrice. Il titolo è sintomatico per una migrante: “Indo e Vindo”, cioè Andando e Venendo.
Incontrarla poi nel senso di entrare nella poetica di Anna Maria. Modesto consiglio personale: occorre lasciarsi andare innanzitutto alle sensazioni organolettiche che le sue installazioni generano, esaltano, enfatizzano.
Appena entrato tutta quella argilla, l’odore dei rami di pino, i trilli degli uccelli, i vocalizzi del filmato … mi sembravano emergere dai ricordi più remoti dell’infanzia nella Calabria degli avi. Ho avvertito il senso delle comuni radici mediterranee: mi sono rivisto da piccolo osservare, incantato, i vasai di Bisignano che davano forme all’argilla e mi concedevano d’impastare quella di risulta. Era un piacere enorme quel manipolare la materia. Ero ancora un bambino, ma avvertivo una sensualità in quei gesti senza sapere ancora dargli un nome… Simile al piacere d’impastare il pane, ma più appagante, più erotico, più simile al piacere dell’adolescente che avvertirà per la prima volta nelle mani la dolcezza rivelatrice di un corpo di donna. La memoria, la forza creativa delle radici, il chiaroscuro dei ricordi, gli odori e i sapori dell’infanzia sono alla base della potenza espressiva della Maiolino per la quale la manualità, il gesto, la corporalità sono elementi irrinunciabili per tenersi in contatto con sé stessa e per entrare in relazione con gli altri: “Mi sono lasciata guidare dai miei sentimenti e dalla ricchezza della mia memoria. La bellezza del mio passato a Scalea, i ricordi della mia terra, della mia infanzia, gli odori e i sapori: questi sentimenti e queste memorie sono all’origine delle mie opere, sono le basi e le motivazioni da cui parto. … La memoria nei suoi differenti aspetti ha alimentato il mio lavoro e l’arte è stata la mia casa, la mia patria, il mio continente” (da un’intervista a Francesco Santaniello su VeneziaNews/The Bag 2024).
L’arte è stata la mia casa, la mia patria, il mio continente: questo il messaggio meditato, fermo, consapevole di una grande artista, oggi ottantaduenne, sempre alimentata dalla costante memoria delle sue radici.