Guardando i lavori di Marta Cortese colpisce la varietà di ispirazioni e l’uso di molteplici materiali su cui esprimere la propria creatività, oltre che l’uso della calligrafia e di tecniche particolari di stampa artigianale come la serigrafia. L’abbiamo intervistata per scoprire il suo modo di lavorare e le sue influenze.
Quando hai intuito che la tua strada professionale sarebbe stata legata all’illustrazione e qual è stato il tuo percorso formativo?
Ho studiato Architettura al Politecnico di Torino, al quarto anno mi sono trasferita a Berlino e là mi sono laureata. L’ultimo anno di studi però ho iniziato a patire l’ambiente, sicuramente non sono stata troppo fortunata e a desiderare una strada più creativa e meno imposta tra le linee del Cad.
Ho iniziato a lavorare subito negli studi di architettura ritrovandomi compressa in un lavoro che non percepivo mio. Dopo circa sei mesi ho ottenuto un posto in uno studio di grafica. Nei tempi morti del lavoro mi sono data da fare per esplorare, studiare, cercare e scoprire cosa fosse questo mondo meraviglioso e complesso della comunicazione visiva. Ho scoperto la tipografia, la calligrafia, l’illustrazione. Ho deciso che mi sarei dovuta rimettere a studiare: primo passo è stato seguire un workshop con Monica Dengo di calligrafia sperimentale a Venezia. Poi mi sono iscritta al master di “Illustrazione e Grafica Editoriale” a Macerata, Ars in Fabula.
Continuo tutt’ora a studiare calligrafia con Massimo Polello e seguo workshop per approfondire aspetti diversi della calligrafia cambiando maestri e seguendoli per creare un mio percorso.
Ti occupi spesso di calligrafia, modulando la lettera scritta secondo una tua interpretazione. Cosa ti affascina di questo modo di comunicare?
Penso di scrivere per comunicare un mio stato che non so esprimere diversamente. Forse quando ho un pensiero forte ma non riesco a dirlo a voce, allora lo scrivo come se fosse un diario, ma con pennini e inchiostri su carta di cotone. Diventa una sorta di meditazione, dove scrivo e dimentico le singole parole che si perdono poi diventando una texture visiva, un’immagine quasi svuotata di contenuto. Io però non dimentico mai il momento in cui ho scritto (potremmo anche dire “dipinto”) e cosa ho scritto..di sicuro non individuo più le parole, suscitando spesso lo stupore di chi guarda i miei disegni, mi chiede cosa ci sia scritto e io rispondo: “non lo so! Non me lo ricordo!”
Textile design, ci racconti di come hai approcciato questa particolare disciplina?
Bene. Questa è una storia che amo raccontare perché si lega ad una persona importante della mia vita. Lei si chiama Luciana, Zia Luciana ed è la zia di mia mamma, quindi pro zia. La Zia Luciana ha lavorato tutta la vita nell’ambito della moda: prima come maglierista, dando vita ad un laboratorio e investendo su grandi telai, poi gestendo un negozio di abiti di alta manifattura. Parlo di lei perché un giorno di un paio di anni fa le feci vedere alcuni inchiostri che avevo fatto. Lei mi disse: “ mi capis niente de lu qui” – in piemontese, per prendermi in giro, mi dice che non capisce nulla di arte, disegni e quelle cose lì – però dice: “questi disegni sono perfetti per la seta, prova a chiamare le seterie di Como”. La cosa che mi divertì fu che lei iniziò a pensare a tutti quelli che avevano collaborato con lei, per darmi qualche contatto utile in quel mondo di stampe e tessuti. Mi sono scordata di dire che la Zia ha 86 anni e ama navigare su internet, mandare mail e chiaccherare su Skype. Questo per dire che i suoi contatti erano in realtà un po’ anziani. Iniziava ogni volta così: quel signore, ah! abbiamo lavorato tanto insieme, sicuro se lo chiamo…ah! No, è morto.
Quindi, dopo che lei mi ha dato l’input, ho iniziato a sviluppare il lavoro da sola, sempre però seguendo i suoi preziosi consigli. Dall’anno scorso ho iniziato a frequentare una fiera di moda e disegno tessile a Parigi, Premiere Vision, e questo sta diventando il canale maggiore per commerciare i disegni e le texture che propongo. I clienti sono grandi ditte tessili e piccoli fashion designer.
Parliamo di strumenti, come si combinano analogico e digitale nel tuo modo di creare?
Un po’ per tutto quello che faccio, inizio con penne e inchiostro. Dopo scansiono e lavoro con Photoshop e Indesign. Ovviamente se si tratta di una texture, variare il colore è indispensabile e Photoshop è lo strumento perfetto. Se si tratta di un logo calligrafico, li lavoro invece è di ripulitura di ogni lettera.
Il computer è sempre acceso quando lavoro, e spesso lo macchio di inchiostro. Si combinano così, il resto è presenza sui social, fondamentale purtroppo.
A quale progetto stai lavorando in questo momento?
Al momento sto curando i contatti post fiera. L’ultima edizione è stata a settembre e in quest’ultimo mese sto seguendo tutti i clienti. Insieme a questo, lavoro a loghi, scritte, piccoli progetti di grafica. In realtà qualcosa di più succoso c’è, ma non posso ancora svelare nulla.
Vuoi dare un consiglio a chi intraprende questa professione?
Sto lavorando da poco più di un anno in questo campo e mi sto accorgendo che è un ambiente piuttosto complesso. Quello che noto è che più energie spendo più ritornano sotto forma di clienti, vendite. Per ora mi accorgo solo che riuscire a differenziare un po’ il lavoro da quello presentato da tutti gli altri può essere un punto di forza, in certi casi di debolezza. Ma questo non mi sembra un consiglio nuovo. Per il resto..rischiare un po’.