Matthew Perry, il Chandler Bing della serie cult Friends, è morto lo scorso 28 ottobre nella sua
casa di Los Angeles. Aveva 54 anni.
“Ciao, mi chiamo Matthew, anche se potresti conoscermi con un altro nome. I miei amici
mi chiamano Matty. E dovrei essere morto.”
Inizia così l’autobiografia di Matthew Perry, “Amici, amanti e la cosa terribile” (edito in Italia
da La Nave di Teseo), il racconto onesto, ironico (ovviamente!) e profondamente umano di
un’esistenza e delle sue mille vite. Quella del bambino di 5 anni costretto dal divorzio dei suoi
genitori a viaggiare tra Montrael e Los Angeles; dell’adolescente stella del tennis canadese;
della star milionaria dipendente da Vicodin e coca, del sopravvissuto.
In quel memoir Matthew Perry mette dentro tutto, i successi, le crepe, gli amori folli, le pasticche
di antidepressivi sciolte nella vodka, le 15 volte in riabilitazione, le 70 ricadute, i premi, il coma,
gli amici, le risurrezioni. Ci mostra gli angoli bui e le ombre dentro cui è sparito per anni, senza
che milioni di spettatori in tutto il mondo si accorgessero di nulla. Così mentre lui moriva ogni
giorno, il pubblico rideva, ipnotizzato dal sarcasmo e dalla leggerezza di quello straordinario
personaggio comico che è stato- ed è – Chandler Bing e senza il quale la serie creata da
David Crane e Marta Kauffman nel 1994, Friends, non sarebbe mai diventata uno degli show
televisivi più popolari di tutti i tempi.
Chandler Bing, giullare ed eroe (di tutti i millennial)
Monica, Rachel, Phoebe, Ross, Joey e Chandler sono sei amici ventenni che a New York
condividono la vita mentre bevono caffè a Central Perk, un bar che è casa, confessionale, posto
di lavoro e rifugio dalle brutte giornate. Friends parla di loro o per usare le parole dei suoi
creatori:
“It’s about sex, love, relationships, careers, a time in your life when everything’s possible. And
it’s about friendship because when you’re single and in the city, your friends are your family.”
A dettare i tempi comici lui, Chandler Bing, figlio di una scrittrice erotica e di un padre gay star di
Las Vegas, un lavoro da manager ben pagato ma che odia, una papera e un’oca nella vasca da
bagno, le serate pizza e Baywatch con l’amico fraterno Joey, molte relazioni fallimentari prima di
sposare Monica, e un elenco interminabile di battute sardoniche.
“Ciao, sono Chandler. Faccio battute quando mi sento a disagio”
L’autore televisivo John Vorhaus ha scritto che commedia vuol dire verità e dolore ed è
esattamente questa la chiave del successo del personaggio interpretato da Matthew Perry, la
sua più grande eredità artistica. Dietro il suo apparente cinismo, nella sua pungente ironia, c’è
un intero universo di paure, insicurezze, sogni spezzati, di cocci di un passato che non ha
scelto, ma che lo ha reso quello che è; c’è più di ogni altra cosa la volontà di resistere e di esistere senza
vergogna o bugie.
Ai millennial come me, che guardavano la serie colmi di speranze per un futuro che non
sarebbe mai arrivato (spoiler alert!), Chandler ha insegnato che si può e si deve ridere di noi
stessi, dei nostri limiti, di tutto ciò che non possiamo cambiare o che non comprendiamo
pienamente. Si può persino ridere della propria morte, per esorcizzarla e accettarla. Come
quando in un episodio della quarta stagione dice a Joey “Se morissi, l’unico modo in cui la
gente saprebbe che sono stato qui è dall’impronta del culo su questa sedia” o quando nella
nona stagione, dopo aver rotto per sbaglio tutti i preziosi piatti di porcellana di Monica, dice: “Bè,
immagino che sarò io quello che morirà per primo.”
Ci ha mostrato come usare l’ironia per disinnescare conflitti, litigi, drammi esistenziali, che l’eroe
non sempre è un super macho tutto muscoli e sopracciglia aggrottate. A volte è goffo, timido e
ha un terzo capezzolo. E che si può essere gentili, altruisti, leali in un mondo che non lo è.
La comicità, scriveva Peter L. Berger in “Homo ridens. La dimensione comica dell’esperienza
umana” (edito da Il Mulino), si colloca al di là delle categorie di bene e male, ed è lì in uno
spazio altro che Chandler Bing continua a vivere e a farci ridere.
La cosa terribile..dire addio a Matthew Perry
Quando, nel 2021, va in onda lo speciale Friends – The Reunion, Matthew Perry è appesantito,
un’operazione ai denti, si dice, lo costringe a ridere poco, sembra assente, lontano.. Sono
passati 17 anni dalla messa in onda dell’ultima puntata della serie, molte cose sono cambiate,
noi siamo cambiati, e forse per la prima volta vediamo il volto dell’uomo, ecco chi c’era dietro la
maschera del clown che ci piaceva tanto.
L’anno dopo, in un’intervista al podcaster Tom Power, Matthew Perry aveva detto:
“Vorrei essere ricordato come qualcuno che ha vissuto, ha amato pienamente. E la cosa
fondamentale è che voglio essere ricordato come qualcuno che voleva aiutare le persone.
Questo è quello che voglio. La cosa migliore di me è che se qualcuno viene da me e dice: ‘Non
riesco a smettere di bere, puoi aiutarmi?’ Posso dire ‘sì’ e posso davvero aiutarlo. Quando
morirò, non voglio essere ricordato solo per Friends. Mi piacerebbe che venisse ricordato il fatto
che ho imparato ad essere sobrio e che posso aiutare gli altri a fare lo stesso. E vivrò il resto
della mia vita provandoci.”
Lo aveva detto e lo aveva fatto, aprendo nel 2015 una sua struttura riabilitativa, trasformando il
suo personalissimo inferno fatto di anfetamine, ansiolitici e oblio in un’opportunità per gli altri di
riconoscersi, ricominciare e guarire. Così la sua storia intima è diventata storia collettiva. Un
lascito immenso, potente come le risate che ci ha donato, che ci hanno salvato e per cui gli saremo per sempre grati.