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Mean Girls: l’icona cinematografica rivisitata vent’anni dopo

mean girls, Cady e le Plastics

Il 12 gennaio è uscito il remake di Mean Girls, l’iconico film di Mark Waters uscito per la prima volta nel 2004 e che ha già visto una rivisitazione in versione musical nel 2017.

All’origine di questo film c’è un libro del 2002, Queen Bees & Wannabees: non un romanzo come si può pensare, ma una guida per genitori. Il sottotitolo recita infatti «Helping Your Daughter Survive Cliques, Gossip, Boyfriends, and New Realities of Girl World». Partendo da qui, Mark Waters ha ricreato quel “Girl World” in un film dalla comicità ai limiti del profano.

Sembra che il remake non stia soddisfacendo le attese del pubblico e sia solo una copia “sbiadita” la cui unica novità sarebbe l’aggiunta di musiche e balli sullo schermo. Ma per capirne il successo del passato e le grandi aspettative del presente forse vale la pena ricordare cosa ha rappresentato Mean Girls per un’intera generazione di ragazze.

Adolescenti di ieri e di oggi

Mean Girls segue le vicende della giovane Cady Heron che, dopo aver vissuto in Africa con i genitori, si ritrova a dover affrontare il mondo del liceo. Presto viene attratta dalle “Plastics”, le tre ragazze più popolari della scuola cui fa capo la terribile Regina George, sempre impeccabile e sempre spietata con chiunque la circondi.

La scuola è il palcoscenico su cui si muove una vasta gamma di tipi adolescenziali descritti senza alcuna pietà: «Nere ostili, nerd asiatici, asiatici fighi, ragazze che mangiano i loro sentimenti e ragazze che non mangiano nulla». Il film usa spesso questi toni irriverenti, oggi decisamente rischiosi. Eppure, non è un film accusabile di razzismo o di discriminazione: tutti – indistintamente da orientamento sessuale, etnia, perfino disabilità – sono sottoposti all’occhio spietatamente ironico della sceneggiatrice Tina Fey. Anzi, proprio l’irriverenza indiscriminata riesce a rendere tutti uguali.

Anche per il 2024 la sceneggiatura è firmata Tina Fey, ma sorge spontanea la domanda: possiamo aspettarci lo stesso grado di spensieratezza nella comicità?

Certo i tempi cambiano. C’è una brevissima scena nel Mean Girls del 2004 che ce lo rende particolarmente chiaro: arrivata a casa di Regina, Cady osserva con faccia perplessa la sorellina dell’amica che sta “ballando” davanti il video musicale Milkshake di Kelis. Nel suo piccolo, è una scena che denuncia i rischi di sessualizzazione a cui sono esposte le bambine fin da piccole. Oggi tuttavia il problema ha raggiunto dimensioni così estese da non essere più visibile: il fenomeno di TikTok attira ragazze sempre più giovani, mascherando con spensieratezza la loro costante sessualizzazione.

L’insegnamento senza tempo di Mean Girls

Mean Girls ci mostra un mondo tutto al femminile, dove viene messo in discussione non solo il ruolo sociale di una ragazza, ma anche cosa debba significare essere una ragazza. Cady scopre il mondo del trucco, dei tacchi alti, dei vestiti attillati. Scopre anche il gossip, la cattiveria ingiustificata, la popolarità basata su un atteggiamento di superiorità. 

mean girls

Tutti elementi che oggi un’adolescente non scopre a scuola, ma sul suo cellulare: il mondo social ha sostituito in gran parte quello reale, e i ragazzi imparano a relazionarsi con l’altro attraverso uno schermo. La cattiveria non manca, nel reale come nel digitale. Come non mancano i conflitti, le insicurezze, le difficoltà ad integrarsi, i drammi intensi che si vivono in questi anni. Quello che manca è però il confronto diretto con le conseguenze delle proprie azioni. 

Il Mean Girls del 2004 ci mostrava una semplice verità: diventi ciò che fai. Soprattutto in un’età in cui non si sa bene ancora chi si è, scegliere da che parte stare – o a quale tavolo della mensa sedere – è fondamentale. 

Alla fine del film Cady riesce a sciogliere la tensione creata dal precipitare degli eventi non perché si dimostra migliore degli altri, ma semplicemente perché si ritrova di fronte a tutti i suoi coetanei, faccia a faccia con ragazzi e ragazze che riconosce come simili a sé. Perché, insomma, li vede. 

Il grande assente nelle relazioni adolescenziali del nostro 2024 è proprio la visione diretta dell’altro. Mancando questo, viene meno inevitabilmente anche l’empatia che gli esseri umani costruiscono tramite le relazioni, soprattutto durante l’adolescenza.

Un problema urgente e sempre più esteso, a cui non si è ancora trovata una soluzione efficace. Chissà se il Mean Girls del 2024 saprà proporci una chiave di lettura per sciogliere questo nodo.

Extra – Il Burn Book: dalla finzione narrativa alla realtà virtuale

Un grande diario rosa, dall’aspetto squisitamente femminile… ma dentro, parole roventi e spietate per tutti: questo era il Burn Book di Regina George. Una “Bibbia della maldicenza” rivestita di un’innocenza tutta apparente. 

In realtà, nella storia di Mean Girls il Burn Book è di per sé un modo sano per sfogare la rabbia: “You let it out, honey. Write in the book”. È sì un libro pieno delle peggiori cattiverie, ma queste cattiverie rimangono in gran parte confinate lì dentro. Rapportandosi con gli altri, Regina – con il suo gruppetto di Plastics – ha atteggiamenti meschini e prepotenti, ma tende a non spingersi all’insulto diretto. Per quello c’è il Burn Book.

Nel film, il momento più drammatico si scatena proprio quando il contenuto del libro viene sparso per tutta la scuola. Le adolescenti – perché le vittime sono tutte ragazze, con un’unica eccezione – si trasformano in animali selvaggi. Un’isteria collettiva, certo, ma estremamente positiva: grazie a questa esplosione di rabbia si arriva a un confronto e a una riappacificazione.

Nell’era dei Social, tutto ciò è impensabile. Vale la pena far notare che nel 2015 qualcuno ebbe l’idea di creare un’app – chiamata appunto Burn Book – e di proporla agli adolescenti con l’intento di “lasciar uscire” tutti i propri pensieri. Il problema era che testi e immagini potevano essere postati in forma anonima. La cattiveria pensata per essere racchiusa in un libro veniva così condivisa con tutti, senza alcun freno inibitorio. 

Oggi, quest’app non esiste più. Non perché il problema sia stato superato, ma anzi perché il problema si è ampliato. Non è più necessaria un’applicazione che permetta a chiunque di esprimere un’indiscriminata opinione sugli altri, perché questo avviene su ogni piattaforma social. Lo schermo, barriera fisica tra un individuo e l’altro, assicura una falsa anonimità. Il nostro cellulare è diventato un Burn Book sempre a portata di mano.

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