Michael Vonplon ha vissuto e viaggiato in Cina fin dalla metà degli anni ’90. E sempre lì ha diffuso la sua ventennale e unica esperienza nelle attività culturali e nello scambio tra Cina ed Europa.
Cosa ti ha spinto ad andare in Cina e quando ci sei stato la prima volta?
«Ah! Hong Kong! Dopo aver fatto l’apprendista spedizioniere, ho ottenuto una borsa di studio e un lavoro in quella città… Quale avventura è stata, per un giovane teenager che a malapena parlava l’inglese e che non era neanche sicuro di dove si trovasse Hong Kong. Questa esperienza ha stravolto la mia vita e mi ha trasformato in quello che sono oggi. Mi sono trasferito a Pechino nei primi mesi del 1997, proprio a ridosso del cambio di giurisdizione dell’isola.»
Descrivici com’era, libera e aperta?
«Libera e aperta? No, la Cina era ancora sul punto di aprirsi al resto del mondo, dopo decenni di controllo comunista e dispotico. Si potevano percepire, in vari modi, il peso del passato e la spinta verso un’emancipazione dall’immobilismo. Quando sono arrivato a Pechino, il cambiamento era solo agli inizi e stava per essere così incredibile che la maggior parte delle persone non riusciva neanche a vederlo! Io volevo sperimentare questa rinascita della Cina, frequentare da vicino i nati negli anni ’80 per conoscere i loro desideri, la loro ribellione, la ricerca d’identità.
Avevo sempre sognato una piccola ma vivace subcultura urbana, una scena musicale dove i giovani (come lo ero io) potessero incontrarsi e scambiare, realizzare, vivere le loro idee. Questo sogno finalmente arrivò e divenne realtà. Durante quel periodo ho imparato molto sulla Cina. Sono stato davvero fortunato a essere lì, a condividere e contribuire a quel vivido ambiente culturale. Una cultura giovane sia nella musica che nell’arte, piena di passione; non per profitto o fama ma per le persone, e completamente senza ipocrisia.»
Hai organizzato il primo rave party alla Grande Muraglia Cinese, raccontaci come è andata…
«Sì, Era il 1998 e siamo stai i primi a scalare la Grande Muraglia. Un party multiculturale con 600 crew composte da artisti cinesi, intellettuali, musicisti, punk, MC’s, giornalisti e cantanti. Stranieri entusiasti, membri di importanti collettivi e molti famosi amanti del rap americano, abbiamo festeggiato alla grande fino a tarda mattinata. È stato indimenticabile per tutti…»
In quali altri eventi sei stato attivamente partecipe?
«In Cina, la combinazione di punk e techno ha gettato le basi per una successiva scena musicale alla quale si sono uniti il punk e i gruppi rock. Insieme ai Dj sets, i punk rokers hanno aggiunto vitalità e vivacità agli eventi. Per noi, l’idea di suonare il punk e la techno durante lo stesso evento è inconcepibile perché è una contrapposizione di due linguaggi musicali reciprocamente inconciliabili. Ma questo era possibile nella Cina di allora. Il carattere tumultuoso della musica elettronica e lo stile grezzo della musica punk sono stati combinati con successo in molti modi. Era come se la scena musicale stesse guadagnando autonomamente un nuovo slancio e così abbiamo organizzato immediatamente molte feste ed eventi, non solo in BJS ma in tutta la Cina».
Oggi come è mutato lo scenario artistico in Cina?
«Negli ultimi anni, la Cina ha visto un boom senza precedenti per quanto riguarda la musica d’avanguardia e l’arte. Crescono ogni anno il numero dei festival musicali, fioriscono nuove strutture per concerti e si moltiplicano gli spazi espositivi per l’arte contemporanea. Artisti e band prima sconosciuti stanno guadagnano pubblico, mentre una nuova schiera di musicisti e artisti visivi affascina il paese. Sono cresciute in modo significativo sia l’autostima degli artisti che le loro competenze.
Dopo aver assimilato entrambe le culture (quella occidentale e quella Cinese), stanno sviluppando i loro progetti con intensità, sincerità e ingegnosità per creare qualcosa di radicalmente nuovo. Un crescendo di collettivi di moda, musica e una gioventù consapevole dell’arte continua a far dilagare questo fenomeno culturale in tutto il paese. Inoltre gli artisti iniziano a rendersi conto che, oggi, possono vivere della loro arte, il ché è un altro passo per l’avanzamento della musica contemporanea cinese. Sfortunatamente, negli ultimi uno o due anni, il governo fa molto per cercare di controllare il movimento».
La tua agenzia Miro-China è stata costituita nel 1997. È stata una delle prime agenzie culturali di Zurigo a tentare lo scambio svizzero / cinese?
«Per quanto riguarda la musica sì, sicuramente. E non solo per Zurigo. Siamo stati i primi a invitare musicisti cinesi in occidente, creando un punto di scambio per persone non convenzionali e idee originali basate non su profitto o sulla fama, ma su individui interessati a un vivace dialogo globale».
Se guardi indietro ai tuoi ultimi 20 anni, sia dal punto di vista culturale che personale, quali sono i tuoi sentimenti riguardo a questo importante periodo e alla sua evoluzione della quale fai ancora parte?
«La Musica e l’arte non sono le uniche cose che rendono meraviglioso il mio lavoro con la Cina, c’è una ricompensa ben più grande e probabilmente il vero nucleo del mio impegno: la nazione cinese e il suo popolo che non hanno mai smesso di affascinarmi fin dal primo incontro. Trovo che lo scambio di arte e persone sia molto importante, in quanto sono una forma di rispetto e di mutua comprensione e senza l’obbligo di una contropartita.
Credo infatti negli individui e nello scambio diretto, anche su piccola scala. Per anni, imprenditori e istituti d’arte occidentali presenti in Cina, hanno ri-confezionato la cultura popolare straniera e l’hanno venduta alle giovani generazioni facendo profitti grazie alla loro esterofilia. Per me, però, è più importante la condivisione delle idee, lo sperimentare e la creazione artistica senza un eccesso di pressione per la commerciabilità.»
Gli artisti precursori del loro tempo: mito o realtà?
Cercherò di rispondere a questo quesito, grazie alle mie osservazioni sugli artisti urbani in Cina: quando è caduta la cortina economica e culturale, si è aperto un mondo completamente nuovo sia per i giovani che per la cultura urbana. A differenza dell’Occidente, che ha visto la graduale evoluzione della musica pop per più di mezzo secolo, i giovani cinesi si sono trovati subito ad affrontare Elvis, i Beatnik, l’Heavy Metal, la musica elettronica e tutto ciò che c’era stato nel mezzo. Con questo differente background e con questo diverso punto di partenza, gli artisti avevano l’impressione di avvicinarsi a una tela bianca su cui potevano dipingere la loro propria idea di cultura, con gamma di forme e colori enormemente ampia e in modo vivace, ispirato e stupefacente. Ciò che è emerso è uno scenario originale e altamente eclettico, brillante, irriverente, colorato e giocoso. Questo giovane scenario artistico, esiste al di fuori dei canali istituzionali e al di là di una società sempre più commercializzata. Sì, in Cina gli artisti mi sembrano in anticipo sul loro tempo mentre, al contempo, la grande maggioranza del paese non si accorge dell’enorme potenziale e dell’importanza della sua cultura artistica non solo per la nazione stessa ma anche per l’immagine che trasmette al resto del mondo.
Qui l’intervista originale; traduzione di Edoardo Montanari.
Cover: Photo by Richard Lee on Unsplash.
Michael VonPlon: Organizzatore, Ambasciatore Culturale, Imprenditore. È attivo negli eventi culturali relativi alla Cina e all’Europa dalla metà degli anni ’90. È fondatore di Miro China e China Drifting (Pechino-Zurigo). Attualmente residente a Zurigo, CH.