Tutti conosciamo dei personaggi con multipotenzialità che sono riusciti a svolgere con successo attività molto diverse tra loro, ma non sempre sappiamo delle difficoltà che questo ha comportato.
Enzo Jannacci, per esempio, dopo essersi diplomato al conservatorio di Milano, si laureò in medicina e fece parte dell’equipe del grande cardiochirurgo Christiaan Bernard. Nonostante Jannacci fosse un bravissimo medico, molti pazienti rifiutavano di farsi operare da lui perché l’avevano visto in televisione cantare in modo bizzarro El purtava i scarp de tennis.
Paolo Conte, nonostante le sue apprezzate abilità di compositore, dovette tenere per anni in secondo piano la sua attività musicale, pur di non turbare la sua ufficiale professione di avvocato. Lo stesso vale per arbitri di calcio di serie A, che dovevano nascondere questa loro passione, quando si presentavano come assicuratori o commercialisti.
Roberto D’Agostino, che lavorò per dodici anni in una banca romana, doveva essere sostituito dal posto di cassiere quando le persone si rifiutavano di essere servite da quello strano personaggio in salopette e lunga barba da guru indiano.
Steve Jobs (com’è noto) abbandonò l’università, tra lo sconforto dei suoi genitori, per frequentare un corso di calligrafia. Una scelta che si rivelò provvidenziale, perché fu grazie a questa che apprezzò l’arte del lettering e del graphic design, rivoluzionando il software informatico. Per anni fu, in realtà, trattato come uno spostato.
Eclettismo o creatività?
Nel Rinascimento le menti eclettiche godevano di onori e riconoscimenti. Nei tempi moderni, invece, la persona multipotenziale, come oggi si preferisce dire, non è sempre apprezzata.
Anche io, personalmente, ho vissuto diverse esperienze negative a causa della multipotenzialità. Una sera, in vacanza, mi godevo l’abilità del pianista di turno, ma a causa di un black out – per altro frequenti in quella zona – tutto si azzittì, rischiando di mandare al diavolo la serata. Memore di esperienze analoghe nella mia prima attività di musicista e vocalist, imbracciai la sonora chitarra Dobro che avevo in macchina. Afianco di quel pianista – che faceva tenerezza, tutto solo a gestire lo sforzo, senza microfoni e senza amplificazione – cantammo e suonammo nel buio, rendendo la cosa più udibile, più partecipata, più divertente per tutti e anche per noi.
La sera seguente, riparato il guasto, facemmo di nuovo, per puro divertimento, lo stesso repertorio: sembrava che fossimo un duo affiatato che suonava da anni assieme. Era presente, a mia insaputa, un grosso industriale al quale era previsto che presentassi, due giorni dopo, un progetto di comunicazione al quale la mia agenzia aveva a lungo lavorato. Presentai il progetto, davvero ben fatto, che venne però subito bocciato: il commendatore ritenne che uno che aveva visto suonare poche sere prima in un locale non fosse un professionista credibile nella comunicazione d’impresa.
In ogni caso, essendomi occupato di parecchie cose – musica, saggistica, marketing, copywriting, relazioni pubbliche, eventi, comunicazione interna, indagini di clima, diving, giornalismo sportivo (in RAI facevo le cronache del baseball con Nando Martellini e Giorgio Poltronieri e conducevo diverse rubriche di jazz) – ho sempre avuto difficoltà quando dovevo scegliere la qualifica da indicare negli elenchi ufficiali: sono sempre finito negli eccetera. Mia madre non ha mai capito cosa facesse quello strano figlio.
Solo nell’attività di formatore, anche in ambito universitario, tutti questi ruoli hanno trovato una collocazione credibile, particolarmente nella disciplina della creatività applicata.
Cosa fa una persona multipotenziale?
Il termine eclettico, lo sappiamo, deriva dal greco eklektikos (εκλεκτικός). È traducibile in “scegliere fuori” o “scegliere fra più cose”. È colui che, in qualsiasi campo di attività, non segue rigorosamente un indirizzo o metodo, ma ne fonde diversi. Per gli oppositori, l’eclettico è anche colui che mescola in modo incoerente elementi di provenienza diversa.
La multipotenzialità è già stata descritta e valorizzata da Frederickson e Rothney, sin dal 1972. Più recentemente, Emilie Wapnick (CEO di Puttylike, blogger, web designer, vocalist, chitarrista e ottima public relator) ha definito le caratteristiche dell’eclettismo come Multipotentialite (multipotenzialità), che ritiene la più utile capacità del terzo millennio.
Vediamo l’esempio di una figura particolare, Albert Schweitzer. Da bambino era malaticcio, tardo nel leggere e nello scrivere. Riusciva bene solo nel suonare l’organo, sul quale divenne poi un esecutore bachiano apprezzato nel mondo.
Probabilmente le sue iniziali difficoltà furono fondamentali per creare quell’esempio di tenacia e di eclettismo creativo che poi lo contraddistinsero. Dopo una prima laurea in teologia, si laureò in medicina e cominciò la sua opera medica in Africa, da molti poi imitata e da tutti lodata. Costruì con le proprie mani un ospedale a Lambaréné che gli valse il Nobel per la pace.
Le sfide della multipotenzialità
Emilie Wapnick sostiene che le persone dotate di multipotenzialità compiono degli iniziali sforzi molto rilevanti per individuare la strada che vorrebbero perseguire: affrontano ogni volta una via diversa che presto, però, si svela annoiante e dopo un po’ viene abbandonata. Sono spesso frustrati da questi diversi tentativi con indirizzi discordanti, dai quali possono derivare ansie e nevrosi. Tutti (genitori, insegnanti, mentori) raccomandano si scegliere UNA strada e perseguire con tenacia solo quella: come se fosse facile e logico, per un eclettico, seguire questo consiglio.
Tutto deriva, quindi, dalla cultura che riceviamo, a partire dalla domanda che si fa ai bambini: cosa vuoi fare da grande? E tutti ridono delle risposte sciocchine che ricevono: «Senti, senti, vuol fare il pompiere, vuol fare la ballerina, vuol fare l’astronauta». Il bambino sta al gioco, ma col tempo, crescendo, quando la domanda gli sarà centinaia di volte ripetuta, spesso entrerà in crisi: se non ha le idee chiare, si sente in colpa. La cosa non fa per niente ridere.
Dopo la maturità non sa che facoltà scegliere ed entra in ansia. Si sente dire che deve seguire la sua passione, avere un sogno, ma le passioni che ha sono molte. Non è come per i suoi amici: Francesco, Maria o Roberto; loro sanno benissimo cosa vogliono fare: uno farà il magistrato, l’altra la biologa e l’altro il traduttore. Ma uno che si sente attratto da più cose, si sente solo strano. Non dovrebbe essere così: le persone multipotenziali, dice la Wapnick, sviluppano inconsciamente, grazie a queste avventure pluridirezionali, tre caratteristiche:
- sanno combinare in modo nuovo e utile le zone d’interconnessione di due o più campi;
- apprendono molto più velocemente;
- hanno grande adattabilità.
Non sono difetti, sono valori. Se poi, le persone multipotenziali sentono l’esigenza di disporre di una complementare abilità specifica, a loro mancante, possono integrare le diverse abilità con quelle di altre persone più orientate in uno specifico campo. Di solito questo potenzia il risultato.
In gran parte la cultura del secolo scorso e di questo inizio di millennio non ha apprezzato (e ancora poco apprezza) l’eclettismo: non favorisce gli interessi multipli. Oggi si è capito che la multipotenzialità è una caratteristica molto diffusa, che deve essere assecondata. Lo capiranno finalmente le università? Lo capiranno le imprese? Lo capiranno le famiglie?
Vi è da sperarlo, perché il futuro ha bisogno degli eclettici.