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MUSICA.
(1976 – 2016) Quarant’anni
di radio privata in Italia

Lo so, Radio Milano International è nata all’inizio di marzo del 1975 ma è nel 1976 che la Corte Costituzionale, con una seconda e decisiva sentenza in materia, dà il via alla liberalizzazione delle trasmissioni via etere e così, da lì in poi, le nuove radio (che all’epoca chiamavamo romanticamente libere) ebbero una copertura legale e poterono crescere e moltiplicarsi un po’ ovunque sul nostro territorio.

FOTO 1 (radio milano international circa 1976)

Quindi diciamo che è l’A.D. 1976 il punto di non ritorno del monopolio RAI.
C’era un entusiasmo smisurato in giro, finalmente alla radio potevi sentire tutto quello che non riusciva a passare nelle fitte maglie degli uffici RAI. Almeno questo è quello che ci raccontano le cronache perché chi scrive non era neanche un desiderio nei cuori dei propri genitori.
Erano gli anni giusti per le rivoluzioni di qualsiasi tipo, il referendum sul divorzio risaliva a poco prima e poco dopo gli italiani si sarebbero espressi sull’interruzione di gravidanza, solo per citare le due più importanti rivoluzioni del nostro paese.

I ragazzi dell’epoca volevano avere voce in capitolo e volevano farla sentire a più persone possibili: attraverso i loro linguaggi potevano cambiare il mondo (almeno così pensavano).
E il linguaggio più comune e immediato era la musica, ma anche l’impegno politico era una componente forte per alcuni strati della società; a volte queste due cose coincidevano e la radio faceva al caso loro.
Le emozioni di donne e uomini reclamavano l’indipendenza attraverso la trasmissione di canzoni non convenzionali. Era così che funzionava, fondamentalmente: sono libero di trasmettere la musica che amo, di farla conoscere a più persone possibili ed esprimere quello che la musica mi trasmette.

FOTO 2 (archivio musicale di John Peel)

Oggi è ancora così? Proviamo ad analizzare le differenze.
Partirei dalla musica.
Esiste oggi una radio, tra quelle più conosciute, che trasmette musica diversa dalle altre?
Per musica diversa intendo quella che non arriva da classifiche di ieri o di oggi o che non arriva dalla TV. Direi di NO.
Purtroppo la nostra generazione è obbligata a sentire venir fuori dalle casse dello stereo della macchina la solita fuffa senz’anima che le varie emittenti cercano di farci passare come la migliore musica del passato e del momento.
No, non è più così, semmai lo fosse stato un tempo. Solo in alcuni casi la musica che ascolti uscire dalla radio è un mix di cose non convenzionali, parlo di programmi specifici e che vanno in onda in orari serali quanto meno improbabili. Non ne cito nessuno per non far torto agli altri ma non arriviamo a dieci programmi di musica interessanti, in totale, e questo non va assolutamente bene per la salute delle nostre radio.

La programmazione quotidiana è affidata a hits o pseudo hits che riempiono le ore senza lasciare niente nei nostri cuori.

Come mai siamo arrivati a questo punto se le persone che scelgono la musica da mandare in onda sono le stesse che lavoravano nelle radio nei loro primi anni di vita e che, bisogna ricordarlo, erano tra quei ragazzi che non volevano omologarsi a quello che ascoltavano i genitori e che veniva trasmesso dalla RAI? Dei rivoluzionari in buona sostanza.
Dove è finito lo spirito della rivoluzione?
Una volta Claudio Rocchi, in un’intervista che ho seguito a Radio Capital, a questa domanda rispose con una frase illuminante: “Qualcuno ha tradito, ragazzi! Non ci sono altre spiegazioni!”

Abbiamo perso lo slancio delle menti giovani pronte a rischiare per cercare qualcosa di nuovo, è questo il punto. Ora, possiamo riflettere sul fatto che le nostre teste non sono più anagraficamente giovani e quindi è normale che si scelgano strade più sicure e rassicuranti, ma questo va al di là della elevazione spirituale a cui l’arte e/o l’intrattenimento devono puntare.
Faccio un discorso meramente artistico e di innalzamento culturale della società, intendiamoci, perché poi la radio italiana dal punto di vista economico e di ascolti sembra reggere il colpo anche abbastanza bene e la dimostrazione di questo è il fatto che le emittenti sono attive e trasmettono ancora… E voi mi insegnate che, economicamente, se un negozio o un’attività non funziona chiude.

FOTO 3 (microfono)

Stesso discorso vale per le parole che vengono dette in radio. Vi sarà capitato mille volte di cambiare stazione appena sentite una voce che non si limita ad annunciare un brano o una sequenza mixata.

La scusa che ci diciamo è voglio sentire la musica e non uno scemo che parla.
Il punto è proprio questo.
Se le cose che venissero dette in radio fossero interessanti, cambieremmo stazione?
Ma davvero interessanti, intendo. Non le notiziole leggere e spensierate come qual è il libro perfetto sotto l’ombrellone… O sopra il comodino… O dentro lo zaino… O dove diavolo vi pare. Insomma, davvero esiste qualcuno che può dirti qual è il libro perfetto per TE? Be’, io non ci credo e neanche mi interessa, allora cambio e ascolto qualche altra stazione che in quel momento trasmette un disco.
Questo è quello che succede di solito nella maggior parte dei casi, ma ci sono anche situazioni peggiori nei palinsesti italiani.
Concentriamoci per un momento sul linguaggio che si usa in radio oggi. Non trovate anche voi che in molti casi stiamo andando verso una deriva un po’ troppo uomodellastrada? Mi spiego meglio, i programmi che hanno dei dati d’ascolto significativi sono programmi nei quali i conduttori parlano davvero come l’uomo della strada (le parolacce sono spesso inserite nel discorso molto naturalmente, solo per dirne una) e se questo era un vantaggio verso la fine degli anni 90, perché si usciva da un’impostazione troppo rigorosa e poco reale, oggi si scade molto spesso nella volgarità fine a se stessa.

La Zanzara di Cruciani o lo Zoo di 105 di Marco Mazzoli hanno il loro punto di forza proprio in questo, parlare come la gente comune. Ma la radio non è la gente. La radio comunica alla gente e la sfida che dovrebbe raccogliere è quella di intrattenere il pubblico con argomenti interessanti e con un linguaggio condivisibile per tutti. So benissimo che è molto più facile avere successo usando toni e parole che userebbe chiunque di noi (chi più chi meno ovviamente), in una conversazione da bar. A costo di sembrarvi un bacchettone vi dico che le parolacce in radio non mi divertono, non mi scandalizzano e non mi affascinano, semplicemente non mi piacciono. Anche loro fanno parte della categoria vincere facile e lo trovo un po’ scontato come concetto da seguire per uno dei mezzi di comunicazione più affascinanti che il genere umano abbia inventato. Chiaro poi che i due programmi che ho citato funzionano anche e soprattutto per la personalità dei rispettivi conduttori e per tutto il lavoro che c’è dietro alla messa in onda, ma è innegabile che siano stati programmi del genere ad aprire le porte ad un certo linguaggio.
Quindi da una parte abbiamo una comunicazione leggera senza approfondimenti e dall’altra un linguaggio che spesso rischia di cadere nel volgare. AIUTO!

Il problema di fondo della nostra situazione e che tutte le maggiori redazioni nazionali e regionali seguono uno schema ben preciso, quello che gli addetti ai lavori chiamano HIT RADIO e che prevede di suonare solo canzoni da classifica e di parlare di argomenti pop. Che poi le classifiche di riferimento siano di oggi o di trenta o quarant’anni fa è lo stesso, sempre di classifiche stiamo parlando. Non c’è un’alternativa a questo. Non esiste ad esempio una radio che sia specializzata sul jazz o sul reggae ad esempio. Se ci pensate è una cosa in controtendenza e, francamente, fuori moda rispetto a vari aspetti della vita e dell’intrattenimento. Le TV vanno via via specializzandosi con canali a tema (documentari, film, sport, news, serie tv). Il lavoro è sempre più professionale e meno generalista (l’idraulico fa l’idraulico, il muratore fa il muratore). Perché la radio no? E’ una domanda che dovremmo porci prima o poi.
Se così fosse avremmo delle radio generaliste e delle radio specializzate dello stesso livello e così il pubblico potrebbe scegliere cosa ascoltare. La TV lo ha già capito è ora che lo capisca anche la Radio.
Dovremmo avere il coraggio di tornare un filo indietro. Affidare la conduzione dei programmi a persone che abbiano semplicemente qualcosa da dire e che ascoltino della bella musica nel loro privato.
E’, forse, da ribaltare il concetto. Io, programmatore musicale, non suono più ciò che penso possa piacere alla casalinga di Rovigo ma suono ciò che piace a me e se alla casalinga di Rovigo piace anche lei ascolta la mia radio, altrimenti ne ascolta qualcun’altra. Potrebbe sembrare una scelta coraggiosa ma è l’unica possibile.
Facciamolo… Così, solo per vedere come va!

FOTO 4 (consolle vuota)

Rimane comunque un fatto. C’è molta gente che continua ad ascoltare la radio in Italia. I dati parlano di oltre 35 milioni di persone che ogni giorno la accendono, quindi è un mezzo che funziona e pure parecchio.
Se da un lato le cose hanno preso questa piega populista, come del resto hanno fatto altri aspetti della vita e della società, dall’altro con la tecnologia che rende tutto facile ed economico stanno spuntando radio online come se piovesse e questo non può che essere un bene anche per la radio tradizionale perché spinge l’asticella più su e crea concorrenza. Va detto che siamo ancora in una fase embrionale perché se in un certo senso la maggior parte delle radio web cercano di assomigliare alle loro sorelle in FM, riuscendo ad esserne solo la brutta copia, ce ne sono altre che invece propongono davvero qualcosa di alternativo ma in maniera ancora un po’ sporca e grossolana. C’è tempo per poter migliorare, nel secondo caso siamo sulla buona strada, sempre considerando il nostro digital divide che è ancora a livelli non accettabili per la società moderna. Questo però non dipende da noi e siamo sicuri che migliorerà a breve. Non per scelte politiche ma per scelte economiche.
Come paese, invece, culturalmente abbiamo bisogno di sviluppare un canale di comunicazione che ci spinga verso nuovi orizzonti e forse questo canale lo possiamo trovare nella radio che è l’unico media a non usare le immagini. Prendiamo coraggio e facciamolo.

Per poter scrivere tutt’altro tra 40 anni.

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