“Noi siamo il Fabric. Per quasi vent’anni abbiamo rappresentato la musica, l’arte e la cultura a Londra, cosa che facciamo con grande orgoglio. Abbiamo realizzato 3.106 eventi in questo tempo e accolto 6,75 milioni di persone da tutto il mondo in uno spazio concepito appositamente per la musica. Siamo riconosciuti come un esempio autorevole di buone pratiche nel settore. Abbiamo costruito questo spazio per creare un luogo sicuro, una casa – non un ‘super-club’. Si chiama Fabric per questo motivo, perché è come un tessuto che ci unisce tutti, che unisce le persone, senza distinzione di razza, genere, orientamenti sessuali ed età”.
Con questo statement, la direzione artistica del Fabric di Londra ha lanciato la campagna di fundraising, di mobilitazione e di sensibilizzazione denominata #saveourculture per la riapertura dello storico club di Farringdon, nella zona est di Londra.
Il Fabric è stato chiuso definitivamente il 6 settembre scorso dalle autorità locali, in seguito ad alcuni tragici avvenimenti. La decisione della magistratura inglese, che ha destato non poche polemiche, è stata irrevocabile nonostante un vasto movimento critico abbia raccolto numerose adesioni non solo tra gli addetti ai lavori ma anche tra esponenti del panorama artistico e culturale oltre ad alcuni politici… Tra i quali il sindaco di Londra, Sadiq Khan.
Non è bastato neanche l’impegno, da parte dei gestori del locale, a stabilire un nuovo golden standard per il clubbing sicuro che fungesse da modello per il settore e fosse replicabile su vasta scala, perchè il club venisse salvato.
Il Fabric è stato uno degli storici club londinesi, uno dei più rappresentativi della club culture a livello mondiale, un’istituzione nel panorama culturale locale e una tappa turistica segnalata anche sulle guide.
Difficile enumerare i protagonisti che hanno calcato quella straordinaria consolle, facendo vibrare gli stretti cunicoli sotterranei di questo ex magazzino di fronte al mercato di Smithfield. Merito anche delle due serie di mixtape, Fabric e FabricLive, ormai arrivate al capitolo numero 90, grazie alle quali le performance degli ospiti che si sono avvicendati ai controlli del club sono rimaste incise nella sua storia.
Prima ancora di dare il nome a due raccolte di successo, i nomi Fabric e FabricLive hanno rappresentato anche il marchio di fabbrica delle serate del venerdì e del sabato del club, le più eclettiche e dinamiche nell’ambito della programmazione, grazie alle quali il locale è stato premiato come miglior club a livello mondiale nel 2007 e nel 2008.
Un successo di certo non inatteso se consideriamo l’attitudine eclettica e creativa del suo co-fondatore: Keith Reilly. Cresciuto nel mondo più o meno legale dei trasporti e della grande distribuzione organizzata, dove lavorava con i suoi 14 zii, Reilly all’inizio degli anni novanta si improvvisa organizzatore e promotore di feste e rave ospitati nelle location più insolite… “Quelle serate erano assolutamente folli” – ha raccontato in una recente intervista – “…Non c’erano regole! Mettevamo su qualsiasi cosa, da James Brown, a Fela Kuti, a Chaka Khan, agli Stones… Tutto illegale, ovvio, ma eravamo sul finire degli anni Settanta, prima ancora che nascesse la scena rave. Anche se fossero riusciti a prenderci, la polizia non avrebbe saputo cosa fare.”
Ed è stato proprio lo spirito anarchico dei primi party, alimentato dal successo dell’acid house e poi dall’avvento della techno, a ispirare Reilly all’apertura di un locale.
Così Keith vende la casa di famiglia e investe tutto quello che ha per trasformare un labirintico mattatoio in disuso nella zona industriale di Farringdon in quello che nella sua mente è il club ideale.
Gli inizi non sono per niente facili; in pochi comprendono l’idea un po’ folle e visionaria di Keith Reilly.
“Nel settore, pensavano tutti che fossimo pazzi” racconta Keith, “perchè in quegli anni la scena era dominata da superstar dj, i locali suonavano tutti la stessa roba, prevalentemente house commerciale, e nei foyer c’erano solo belle ragazze”.
Non si sbagliava Keith Reilly: da John Peel a Goldie, dai Basement Jaxx ai Groove Armada, la consolle del Fabric – concepita da un sound engineer che risponde al nome di Howie B – ha visto protagonisti dj e produttori che hanno rivoluzionato la Club Culture, imponendo all’attenzione dei media e degli appassionati stili, tendenze e nuovi generi.
Al Fabric, nel corso degli anni, la tradizionale cassa dritta ha lasciato il posto alla jungle, poi al drum’n’bass e al breakbeat fino al grime, al dubstep, al footwork e infine ai suoni della scena UK Bass in tempi più recenti.
Oltre a una programmazione artistica con DJ resident e ospiti di assoluto livello è stato anche un punto di riferimento per le soluzioni tecnologiche d’avanguardia delle quali dispone. Partendo dal concetto che il Fabric è stato concepito da persone che frequentano i club per altre persone che frequentano i club.
Tutto questo si rispecchia anche nella qualità del sistema audio che rappresenta uno standard di riferimento nel panorama del clubbing: 25 mila metri quadri e tre sale ognuna dotata del proprio sistema audio indipendente che ruota attorno al bodysonic, il leggendario pavimento vibrante e avvolgente progettato per la trasmissione delle basse frequenze per rendere ancora più totalizzante l’esperienza del club.
Investimenti nei sistemi di amplificazione più avanzati e uno staff dedicato di ingegneri del suono per garantire il meglio della resa sonora hanno contribuito a rendere la f del Fabric un simbolo della club culture oltre ad essere il logo inconfondibile inciso sul case di metallo che avvolge le studio session numerate per raccontare, in 90 mixtape, la storia del club, dal 2001 al 2016.
Pochi giorni dopo la chiusura del Fabric, i due co-fondatori Keith Reilly e Cameron Leslie insieme al resident Craig Richards sono stati ospiti di Gilles Peterson negli studi della nuova web-radio Worldwide FM.
Tra i tanti ricordi e aneddoti, alcuni dei quali anche ironici, particolare curiosità ha destato il racconto della serata orchestrata da John Peel.
Keith Reilly ricorda che John Peel non voleva suonare al Fabric. Aveva avuto brutte esperienze in altri locali perché il suo approccio era diverso dai DJ tradizionali. Keith Reilly che ascoltava John Peel sin da quando era bambino non si arrende e lo convince.
Il risultato è un set eclettico e ibrido come solo Peel avrebbe potuto immaginare, tra punk, raggae, soul, hip-hop, blues e garage ma senza strafare: scegliendo semplicemente i suoi pezzi preferiti. Poche sovrapposizioni ma tanti accostamenti perfetti hanno reso il cd Fabric07 tra i più amati e ricercati di tutta la serie. “Quando alla fine del set ha messo su Teenage Kicks degli Undertones, racconta Keith Reilly, la gente ha iniziato a gridare il suo nome, l’ha preso di peso dalla consolle e lo ha portato in giro per il locale. Piangevamo tutti per la felicità”.
Dalle parole di Keith Reilly e degli altri membri della crew del Fabric emerge ancora forte quella voglia di sperimentare e di esplorare che ha contraddistinto il lavoro di John Peel.
“Le nostre tre regole sono di non cercare mai di intercettare o cavalcare le mode del momento, non tentare di capire cosa avrà successo e non far suonare un artista in cui non crediamo. Per 19 anni siamo andati avanti facendo quello che ci piace, senza scendere mai a compromessi in fatto di musica, e la gente ci ha dato ragione”.
Grazie all’entusiasmo dei clubber e dei tanti addetti ai lavori che hanno eletto il Fabric loro punto di riferimento, Keith Reilly e soci hanno resistito negli anni anche alle difficoltà legate ai problemi finanziari, alle minacce della criminalità e alla tentazione di mollare tutto.
Oggi però non dipende solo da loro. Proprio nei giorni in cui le istituzioni di Berlino hanno dichiarato il Berghain luogo di interesse culturale della città, la battaglia per la riapertura del Fabric è appena iniziata.
Pochi giorni fa è uscito l’ultimo – in ordine cronologico – studio mixtape della collana Fabric, il numero 90, firmato dal DJ e producer londinese Scuba.
Dopo essere stato per 5 anni resident al Barghain con la serata Sub:stance, Scuba è l’ultimo artista a essere salito alla consolle del club di Farringdon la sera prima della chiusura del locale.
Il produttore, in accordo con l’etichetta del Fabric, devolverà tutti il ricavato della vendita e dei download dell’album alla campagna di fundraising per la riapertura del locale, che ha raccolto finora a livello globale quasi trecentomila sterline.
Si tratta soltanto di una delle iniziative in ambito artistico che il movimento #saveourculture ha deciso di convogliare nella campagna per la riapertura del club. Per ricevere tutti gli aggiornamenti, trovare i riferimenti per contribuire alle iniziative o semplicemente per seguire da vicino lo sviluppo questa vicenda, basta sintonizzarsi sugli hashtag #savefabric e #saveourculture sulle più popolari piattaforme social.
Let’s save our club #savefabric @fabriclondon ・・・ So much love for all your support ❤