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NEON DESERT.
L’eleganza e la malinconia del deserto notturno di Rhò

Rhò © Sara D'Uva

Lo stato di grazia della scena indipendente italiana si deve a una serie di act e di musicisti che sanno comunicare il presente senza cedere ai ricatti dell’omologazione. Di questi, soltanto alcuni hanno dalla loro parte la capacità di esprimersi a livello artistico e umano con personalità.

Rocco Centrella, meglio conosciuto come Rhò, è un compositore, musicista e cantante che antepone la sostanza allo stile, grazie alla sua abilità nel coniugare quelle coordinate di equilibrata ispirazione che lo collocano tra gli artisti più interessanti del momento.

Neon Desert cover album
Il 2 febbraio è uscito Neon Desert, il suo nuovo disco, pubblicato da Gibilterra e distribuito da Believe, che conferma il talento visionario di un performer giovane e completo, capace di declinare la propria visione musicale secondo i canoni del suo evocativo immaginario, con una particolare sensibilità e attenzione ai temi del presente.
Argomenti, quelli dei testi scritti da Rho, che tratteggiano un’umanità in perenne bilico: dai pericoli della sovraesposizione mediatica e della falsità dei social ai temi della discriminazione e delle lotte sociali per il riconoscimento dei diritti fondamentali. Senza tralasciare gli ambiti di introspezione personale, contraddistinti dal richiamo al disagio contemporaneo, agli amori intensi e sofferti, alle relazioni liquide.

Neon Desert si compone di nove canzoni tutte in inglese, unite dal titolo particolarmente evocativo e impreziosite dall’artwork del disco, nelle quali l’artista inserisce nel binario della sperimentazione il proprio background classico, elaborando linee melodiche e variazioni timbriche che conferiscono all’intero lavoro un’atmosfera da elettronica d’ascolto rilassato, cinematica, sognante a tratti club-oriented.

Un disco molto italiano nel concept ma elegantamente “black” nell’approccio, dove le ultime propaggini del trip-hop incontrano il neo-soul e l’R’n’B lungo le distese emozionali di non-luoghi digitali e soundscape vagamente onirici.

Flauto traverso, strumenti tradizionali e una forte componente elettronica sono gli elementi qualificanti di un sound dilatato ed emozionale, scandito da un potente battito cardiaco, risultato anche delle collaborazioni con il batterista e co-produttore Stefano Milella, già con i Fabryka e Big Charlie, e di Jo Ferlinga degli Aucan.

Neon Desert di Rho è un album di canzoni digitali dalla profonda sensibilità umana, capaci di coinvolgere l’audience soprattutto nelle performance live, dimensione in cui Rho si esprime al meglio delle sue potenzialità.

In attesa di poterlo apprezzare dal vivo in occasione del Festival Manifesto, dedicato alla nuova scena indie ed elettronica italiana (in programma a Roma al Monk i prossimi 23-24 marzo), abbiamo avuto l’opportunità di incontrare Rho e apprezzare meglio la profondità di questo artista.

Un deserto popolato da sogni

Neon Desert colpisce l’attenzione nel titolo, nell’artwork, e nella cadenza dell’iniziale Black Horse. Minimalismo, neo_soul ed elettronica per un album dalle tinte notturne che ascolto dopo ascolto si rivela in chiaroscuro.

Raccontaci dell’ispirazione che ti ha portato in questo deserto contemporaneo dai flash accecanti e della particolare cura per i dettagli che si nota nelle 9 tracce che fanno parte di Neon Desert…
«Negli ultimi anni i miei ascolti e le mie esperienze musicali mi hanno fatto trovare una forte sintonia con le atmosfere notturne dei club e della ricerca musicale elettronica fatta soprattutto in Europa.
C’è stata la voglia di crescere in termini di qualità di produzione e di semplificare ciò che avevo elaborato con le prime pubblicazioni.
Il risultato è una serie di canzoni venute fuori da un confronto con il producer musicale Stefano Milella. Stefano ha contribuito, con il suo talento, alla realizzazione di un disco che sa raccontare in maniera più definita le idee che avevo in mente, sia in termini di sound che di immaginario.
Per questo il deserto è il contesto ideale in cui immaginarmi, un posto in cui la pulizia delle forme fa vedere l’impossibile. In questo caso la sfida “impossibile” era non cedere al trend che vede la musica italiana cantata in italiano come una prerogativa esclusiva per avere degli ascoltatori nel mondo della musica definita “indipendente”.
Il neon è l’elemento che ispira a immaginare la notte, il mistero, la trasformazione dei corpi senza per forza dover essere didascalici.
Il titolo è l’unione di due parole dal significato visivo molto chiaro e che insieme ampliano lo scenario interpretativo.»

Nella tua musica è possibile rinvenire un approccio concettuale ai temi e ai testi dei brani che si fonde con la forma canzone. Neon Desert è un disco equilibrato, un frame dilatato in alta definizione dove il tutto può essere scomposto e parcellizzato fino al singolo beat.
Penso ad esempio ad una traccia quale Whatever – tra le mie preferite – che ad un certo punto si dilata in un crescendo di riverberi e distorsioni che sembrano non trovare fine.
Quando componi e suoni preferisci lavorare per sottrazione o per aggiunte?
Come nasce passo dopo passo una canzone di Rho?
«Whatever è anche uno dei miei brani preferiti: pur essendo minimale riesce a rendere l’intensità che c’è nelle altre canzoni.
Proprio per questo mi ritrovo a confermare che l’attuale processo, rispetto al passato, è di sottrazione.
Solitamente parto da una linea melodica, poi vengono il beat e il suono principale che deve accompagnare il testo, scritto in contemporanea con la costruzione del brano.»

L’elettronica come fonte d’ispirazione

Elettronica e soul sono un binomio non nuovo. Dal trip-hop fino alle ultime evoluzioni del dubstep e del footwork, i pattern ritmici e gli elementi acustici tipici della musica afro-americana ciclicamente tornano di interesse, con nuove forme e diverse evoluzioni.

Nella tua musica, e in particolare nel lavoro Neon Desert, l’attitudine alla ricerca sembra venire dal profondo, dal tuo vissuto e dalla tua naturale attitudine a confrontarti e a sperimentare, in una parola “a metterti in gioco”.
Ti affascina confrontarti con una scena musicale particolarmente vitale, anche in Italia, quale è quella elettronica?
«La scena elettronica è l’unica, insieme a quella definita genericamente “sperimentale”, che riesce ancora a raccontare qualcosa di nuovo.
Sono molto legato ai suoni e alle melodie del passato, ma nei miei processi creativi mi auguro sempre di riuscire ad aggiungere qualcosa in più al mio percorso che non sia per forza una citazione.
Essere “progressisti” vuol dire anche saper immaginare ancora qualcosa di bello nel futuro e non dover pensare che le cose migliori siano state già fatte nel passato.
Ecco, l’elettronica m’ispira questo e sono contento di esserne appassionato.»

Temi impegnati e prospettive trasversali

Cross è il mio brano preferito, perché riesce allo stesso tempo a essere lirico e drammatico seguendo il mood dell’album ma con una stratificazione di ritmi, synth e flauti che la rende misteriosa e tribale. Oggi non è facile confrontarsi con le contaminazioni senza ricadere nel banale o nel già sentito. Nella musica di Rhò ho percepito culture altre e linguaggi musicali rielaborati con stile e rispetto.

Raccontaci delle influenze che arricchiscono la tua musica.
«Le influenze sono tante e tutte nascono sia da una ricerca sia da eventi fortuiti che solitamente creano un effetto che in inglese si chiamerebbe “epiphany”. Si tratta di un momento speciale in cui un episodio diventa “rivelatore” di un significato nuovo nel proprio vissuto.
La musica produce continuamente questi effetti quando si è curiosi.
Basta essere disposti ad accogliere le novità e, di conseguenza, anche la cosa più semplice può diventare una fonte d’ispirazione.»

In Neon Desert hai inserito nove brani, tutti in inglese, che raccontano rapporti conflittuali, sentimenti forti e incomprensioni, incomunicabilità da social e anche impegno sociale come la lotta per i diritti LGBT; temi impegnati che fanno parte di una scelta stilistica coraggiosa.
«I temi sono quelli che m’interessano di più e di cui parlo spesso con i miei amici.
Non sono uno scrittore di storie, ma mi reputo bravo nell’analizzare ciò che mi circonda e nel trovare un significato in azioni che muovono le persone a fare o non fare delle scelte.
Le canzoni di questo disco non potevano raccontare altro se non la condizione che vivo quotidianamente. La questione dei diritti LGBT, per esempio, è una di quelle più rappresentative di questo momento storico in l’Italia. Una di quelle che un giorno, nei libri di storia, potrebbe essere associata a questi anni ed è un peccato, oltre che un’ingiustizia, non rendersene conto o non sostenerla.»

Il tuo percorso è atipico e articolato: hai una formazione musicale classica, hai studiato musica per il cinema e ti sei laureato in Scienze della Comunicazione.
Pensi che la diversità dei contesti formativi e culturali abbiano contribuito alla tua estetica?
«Sono molto contento di sapere che i percorsi che ho intrapreso nella mia vita non si siano mai interrotti, anzi, delle volte si sono anche incrociati.
Sono dei vasi comunicanti che, insieme, mi rendono la persona che sono, a prescindere dal nome d’arte.
La conseguenza è che ogni contesto in cui mi muovo è connesso con l’altro, fino a influenzarsi a vicenda. La musica si nutre della mia esperienza in ambito visivo – lavorando come creativo per un network americano – mentre la mia esperienza televisiva si arricchisce ogni giorno grazie a una prospettiva trasversale fornita dalla mia formazione musicale.»

Musica-media: un’attitudine naturale

Rhò è stato consulente musicale per il film “Il padre d’Italia” e per il documentario “The Young Pope – A Tale of Filmmaking” e, tra le tante produzioni per l’audiovisivo, ha all’attivo anche una prestigiosa collaborazione per lo score del film Killing Kennedy prodotto da Ridley Scott.

Pensi che sia un’opportunità per un giovane musicista, oggi, sapersi confrontare ed essere versatile nel destreggiarsi tra le diverse opportunità che il rapporto tra musica e media può offrire?
«Dipende dalle inclinazioni, dalle passioni e da cosa si vuole fare nella vita.
Nel mio caso c’erano tutti gli elementi per riuscire a realizzare questo connubio musica-media.
I percorsi sono sempre diversi, io per esempio invidio chi ha saputo unire il mondo della musica con quello della letteratura.»

Rhò © Sara D'Uva

Non soltanto James Blake e The XX, ma anche Ghostpoet, Son Lux, Arca e, più in generale, un’ampia schiera di musicisti e producer che utilizzano ritmiche scure e beat taglienti fanno parte del DNA musicale di Rhò. Sideway, la traccia con cui si conclude l’album, ne è la prova forse più riuscita.

Quali ascolti preferisci in ambito elettronico oggi e cosa consiglieresti a un appassionato di suoni digitali?
«Ultimamente sono un divoratore di mix o di set di artisti che spesso non conosco.
Mi affido a delle piattaforme o siti che mi permettono di esplorare il mondo elettronico.
Tra questi cito volentieri la RedBull Music Accademy, l’app di MixCloud con i suoi set e realtà italiane che stanno crescendo come Radio Raheem

Collaborazioni decisive

Nel panorama musicale di oggi è quasi imprescindibile aprirsi alle collaborazioni come dimostrano tanti nuovi festival indipendenti che rappresentano più un laboratorio artistico che una semplice vetrina.

Nel tuo percorso artistico le collaborazioni non mancano e in particolare per Neon Desert hai lavorato con Stefano Milella. Parlaci del vostro rapporto umano e artistico.
«Stefano era la metà che mancava per raggiungere un risultato del genere.
Ci siamo conosciuti anni fa, quando lui gestiva l’etichetta con cui è uscito il mio Ep Nebula, ovvero Snowy Peach.
Dopo anni di promesse che suonavano un po’ come i soliti “Vediamoci presto!” o “Beviamoci qualcosa” e che poi finiscono nel nulla, siamo riusciti ad andare oltre le parole e ci siamo messi a lavoro nonostante lui viva a Bari.
Il disco è stato pre-prodotto qui a Roma, a casa mia, in una manciata di weekend… Tanta era la sintonia.
Penso che il risultato racconti tanto del nostro rapporto artistico.»

La dimensione live è uno degli ambiti in cui la musica di Rhò riesce a esprimersi in tutto il suo potenziale.

Raccontaci qualcosa dello spettacolo che presenterai in tour e che potremo vedere anche in alcuni festival, come l’atteso Manifesto al Monk di Roma dove sarai in ottima compagnia con altri rappresentanti dell’elettronica italiana quali Indian Wells, Valerio Delphi, Alessandro Cortini e Ninos Du Brasil.
«Il primo concerto di NEON DESERT non poteva avere un contesto migliore.
Manifesto al Monk di quest’anno è veramente uno dei festival più interessanti presenti a Roma.
Apprezzo tutti gli artisti per ragioni diverse e, considerato il loro talento, oso vedere in questo festival le basi per un Club To Club romano.
Il mio concerto presenterà me, circondato da un po’ di strumenti sia elettronici che acustici come il flauto traverso, e Stefano Milella alla batteria.
Sarà un live cicciotto ma anche sinuoso, in cui porterò tutta l’eleganza e la malinconia del mio deserto notturno.»

Ph Rhò © Sara D’Uva

 

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