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Opere e autori classici allo specchio: oggi sarebbero socialmente accettabili?

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Se si guarda ad alcune opere del patrimonio letterario è molto facile individuare una forte nota stonante. Infatti, i testi considerati classici intramontabili della letteratura non sempre portano con sé idee nobili, moralmente accettabili o adeguate all’evoluzione della società attuale.

Come rapportarsi allora con quei classici che hanno uno statuto in quanto entrati a far parte della storia della letteratura, ma che sono anche inadatti ad epoche più recenti?

Solitamente, per risolvere l’impasse creata da questa domanda, si è soliti dire che è necessario distinguere l’autore dalla sua opera, che il prodotto letterario non è l’uomo che l’ha scritto e viceversa. Eppure, a mio parere, non è neppure corretto operare una scissione netta tra i due aspetti, perché necessariamente, in molti casi, l’uno influenza l’altro.

L’esempio di D’Annunzio: quando un autore influenza non solo la cultura, ma anche la storia del suo tempo

Prendiamo il caso di Gabriele D’Annunzio. Il poeta italiano era apertamente un sostenitore del partito fascista e, prima, della politica interventista. Le sue opere poetiche e in prosa, sebbene non siano esplicitamente inneggianti al regime o non siano, più in generale, lavori di carattere politico, rispecchino con tutta evidenza alcuni ideali e dimostrano che le ideologie politiche di D’Annunzio hanno inevitabilmente lasciato un segno nei suoi testi.

Ad esempio, nel romanzo Le vergini delle rocce (1895), portando ad un nuovo livello il concetto di Superuomo di Nietzsche e manipolando a proprio piacimento e secondo le proprie ideologie il pensiero del filosofo tedesco, D’Annunzio fa del Superuomo una figura anche politica. Il Superuomo è quindi un essere che prova disgusto per la società borghese dell’epoca e per i principi democratici ed egualitari. Ha una superiorità intrinseca che gli consente di ergersi sulle masse-greggi e dominarle autoritariamente e di instaurare una gerarchia. Il Superuomo d’annunziano deve mettersi a capo della propria patria, l’Italia, e farla emergere dal baratro in cui è sprofondata, riportandola agli albori dell’antica Roma.

Insomma, tutto ciò ricorda o non ricorda molti di quelli che saranno i tratti del pensiero fascista? Allora possiamo davvero dire che l’autore e l’opera sono due cose distinte e che non dobbiamo considerare un testo letterario in base al pensiero dello scrittore?

Indubbiamente Gabriele D’Annunzio è stato un uomo importante per la letteratura italiana. Veniva definito addirittura dai critici Emilio Cecchi e Natalino Sapegno “eccezionale e ultimo interprete della più duratura tradizione poetica italiana”. Il suo contributo alla corrente del Decadentismo è tale da renderne uno degli esponenti più in vista, tanto che si è arrivati a parlare di Dannunzianesimo. Con questo termine si intende un fenomeno artistico e culturale derivante dalla letteratura, dal gusto e dalle idee di questo poeta. È però altrettanto innegabile che lasciò un segno anche come figura politica, seguendo degli ideali oggi non accettabili.

Non è quindi possibile slegare i suoi scritti dal suo pensiero e dalla sua adesione al fascismo. Bisogna prendere questo autore per quel che è: geniale per molte cose, ma profondamente dentro ad una politica di cui ancora oggi l’Italia cerca di cancellare le tracce. D’Annunzio non ha vergogna a mettere le sue idee nero su bianco. Dobbiamo quindi accogliere questi classici con tutti i loro limiti e contestualizzarli nella loro epoca. Soprattutto in un contesto scolastico, penso sia un bene mostrare agli studenti questi due lati della medaglia ed intrecciare la letteratura con la storia, per interpretare un testo in maniera più critica e per leggerlo con maggior consapevolezza.

Pirandello e il fascismo: un’adesione che non ha riscontro nella letteratura

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Un altro grande classico della letteratura italiana che si è trovato invischiato col regime fascista è Luigi Pirandello. Rispetto a D’Annunzio, nello scrittore siciliano è più complesso trovare i punti di contatto con il regime. Anzi, leggendo la sua opera, non vengono affatto trovati riferimenti ad esso. Chi non conosce la storia di Pirandello non deve compiere l’operazione di distaccare il poeta dalle sue opere, perché non troverà all’interno dei suoi scritti alcun favoreggiamento o richiamo politico. Ma se si colloca la sua fortuna nel panorama dei “favori” del partito, forse la sua fama assume una luce nuova.

Nel 1924 Pirandello prese la tessera del partito fascista e volle che la sua adesione fosse pubblica e solenne, dandola anche alla stampa. Nel 1925, fu uno dei firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti. Sicuramente dietro questa scelta dello scrittore ci sono state scelte concrete di adesione a ideali e programmi del partito, ma ci deve essere stata anche una buona dose di opportunismo. Può essere un caso che, proprio dopo essere diventato membro del partito fascista, Pirandello abbia ottenuto il prestigioso ruolo di direttore artistico del Teatro d’Arte di Roma? Può essere un caso che Pirandello abbia ricevuto importanti finanziamenti per la creazione della sua compagnia teatrale? Queste accuse e commenti pragmatici gli sono stati mossi anche all’epoca da letterati e critici antifascisti, come il politico e giornalista Giovanni Amendola. Sicuramente il regime non avrebbe mai favorito i suoi oppositori.

Si può quindi pensare anche una scelta di convenienza dietro la mossa pirandelliana per acquisire posizioni di prestigio. Ma soprattutto per far sì che le sue opere drammaturgiche, che andavano molto in voga in questi anni, non subissero censura. Anche se nelle opere pirandelliane non c’è alcun accenno alla politica dei suoi tempi, che idea avere di questo autore che ha favorito caldamente e pubblicamente una delle macchie peggiori della nostra storia?

Come per il caso di D’Annunzio, mi sento di dire che il valore dello scrittore non è affatto svilito, ma che ci sono dei “ma”. Anche per Pirandello, è bene che sia contestualizzato nel suo tempo: sebbene non abbia mai inserito riferimenti politici all’interno delle sue opere, non ha mai neppure mancato di favorire il fascismo. È bene conoscere anche questi aspetti della storia dell’autore, anche se non interferiscono con i suoi classici, perché permettono di comprendere meglio il Pirandello uomo e offrono anche un perfetto spaccato della storia del suo tempo, dove per poter essere qualcuno dovevi necessariamente aderire al partito, che tu lo volessi o meno.

Un esempio tratto da un caso eclatante: quando un classico racconta una storia scabrosa

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Che dire poi di casi ben più eclatanti? Quando si tocca lo spinoso argomento dei classici che trattano temi non moralmente o socialmente accettabili, non si può non citare l’opera più famosa di Vladimir Nabokov, Lolita(1955). Lolita, come molti sanno, è diario di un pedofilo. È il resoconto di anni e anni in cui quest’uomo, Humbert Humbert, ha approfittato e abusato della figliastra. Eppure, nonostante la crudeltà e brutalità del tema trattato in tutta la sua esplicitezza, Lolita è considerato uno dei classici mondiali della letteratura del Novecento.

Inutile dire che lo scandalo si generò immediatamente all’uscita del romanzo. Il tema del delirio passionare di un uomo per una minorenne era molto forte e scottante, tanto che ben quattro editori americani rifiutarono il manoscritto. Quando l’opera venne pubblicata in America, nel 1956, ricevette proteste e condanne, nonché l’accusa di essere un libro pornografico. Eppure la fama e la fortuna di Lolita sono proseguite, fino a diventare il classico che è oggi.

Perché? Innanzitutto, lo stile. Nabokov è un vero maestro di scrittura, con una penna egregia e sapiente è in grado di utilizzare tutte le armi retoriche in suo possesso, prime fra tutte l’ironia, per smorzare i passi più duri e scabrosi della sua opera. In secondo luogo, bisogna tener presente che lo scopo dell’autore non era tanto raccontare una storia di violenza in sé, quanto piuttosto servirsi della scrittura e della possibilità che essa offre di giocare con la realtà. Per Nabokov la letteratura è un gioco, un esercizio di fantasia.

Inoltre, il ruolo assunto da Lolita nel patrimonio letterario mondiale è enorme e non ha a che vedere con il tema scabroso trattato nel libro. La Lolita del libro diventa un vero e proprio archetipo letterario. Il suo nome viene utilizzato per antonomasia per indicare la “Ninfetta”, la ragazzina molto giovane e un po’ precoce che, senza volerlo, suscita desideri negli uomini adulti e tende a comportarsi più come una donna che come una ragazza della sua età.

Resta quindi però irrisolto il problema relativo allo statuto di classico per Nabokov. Indubbiamente in Lolita c’è molto che lo rende un vero capolavoro, ma è altrettanto indubbio che risulta complesso, più che per altre opere, slegarsi da un contenuto così disturbante e valutare obiettivamente il prodotto letterario, senza lasciarsi coinvolgere. Personalmente, ho davvero faticato nel corso della lettura: il libro è scritto egregiamente e non si fa fatica a procedere, ma è impossibile non provare rabbia e non indignarsi.

Per comprendere meglio il valore letterario di Lolita, consiglierei a tutti di leggere un altro grande capolavoro, Leggere Lolita a Teheran(2003) della professoressa iraniana Azar Nafisi, che interpreta Lolita come un romanzo di “denuncia all’esistenza stessa di ogni totalitarismo. La sua visione su quest’opera permette di gettare una nuova luce su un testo che, a primo impatto, lascia necessariamente molte perplessità nel lettore.

Un confronto con il passato

In passato opere non socialmente accettabili subivano censura di vario genere. Ad esempio, molti libri classici che oggi conosciamo e che leggiamo sono stati inseriti, un tempo, nell’Indice dei libri proibiti. Esso era un elenco di pubblicazioni che la Chiesa cattolica ritenne inappropriate e inadatte alla lettura, se non scandalose e moralmente devianti, aggiornato dal 1559 al 1966. Nell’Indice sono presenti dei classici indiscutibili, come:

  • Il Decameron (1353) di Giovanni Boccaccio,
  • Elogio alla follia (1511) di Erasmo da Rotterdam,
  • Alice nel paese delle meraviglie (1865) di Lewis Carroll,
  • L’origine della specie (1859) di Charles Darwin.

Per nostra fortuna, la messa al bando di questi libri classici non ne ha decretato la scomparsa. Ma l’esempio dell’Indice dei libri proibiti ci permette di comprendere come opere considerate scandalose sono, ovviamente, sempre esistite. Anzi, in passato si è operato in modo ben più drastico per metterle al bando ed evitarne la diffusione. Oggi sta al buonsenso di ciascuno cogliere il giusto messaggio del libro o dell’autore e inserire correttamente l’opera nel suo contesto. Ma anche analizzare il pensiero di un autore ed, eventualmente, scindere la sua personalità e la sua biografia dai suoi scritti.

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