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“Pensieri oziosi di un ozioso”, ovvero: imparare l’arte dell’ozio

Si sa ormai da tempo che quella dell’ozio è un’arte assai difficile da apprendere. Ce ne siamo resi ben conto durante i lunghissimi mesi di pandemia, quando il mondo intero è stato costretto al lockdown. Improvvisamente, far niente non è stato poi così dolce. In effetti, non si poteva far altro.

Eppure oziare non è sempre un’atto sterile. Basti pensare che nel caso dello scrittore britannico Jerome K. Jerome l’ozio è diventato il tema centrale del suo piccolo saggio Pensieri oziosi di un ozioso. Un saggio che tuttavia è presentato come un gioco, più che un’analisi accurata dell’argomento. Come scrive lo stesso autore nella prefazione:

Oggigiorno, i lettori pretendono che un libro corregga, istruisca ed elevi. Questo mio volume non eleverebbe una mucca. In coscienza, non posso raccomandarlo per nessun utile scopo. 

Leggendo questo libro non c’è nulla da imparare, secondo la modesta opinione dell’autore. Eppure, addentrandosi nelle sue pagine, ci si ritrova in disaccordo. Quasi subito si capisce che Jerome ama a tal punto scherzare da finire spesso per esser serio.

Dunque non c’è nulla da prendere più seriamente di questo suo testo. Soprattutto perché finisce per essere un manuale d’uso per coltivare l’arte dell’oziare.

Quando praticare l’ozio

La prima fondamentale nozione che l’autore ci dà riguarda il momento giusto in cui praticare l’ozio. Questa è una scelta molto importante, perché scegliere il momento sbagliato equivale a non stare oziando correttamente, e si finisce per aver semplicemente perso tempo.

Ecco dunque quando bisognerebbe oziare:

È impossibile godere la pigrizia fino in fondo se non si ha parecchio lavoro da compiere. Non è affatto divertente non far nulla quando non si ha nulla da fare. […] A me va di impigrirmi quando non dovrei essere pigro; non quando impigrirmi è l’unica cosa che mi resta da fare.

Potrebbe sembrare tutto uno scherzo a cui Jerome sottopone i lettori per prendersi gioco di loro. Ma a pensarci bene c’è saggezza in queste parole. Quando siamo sotto stress per i troppi impegni, quando dobbiamo immergerci in un lavoro importante, quando ci sembra che non possiamo far altro che stare chini sui nostri computer, è importante fermarsi. Un po’ come ci ricorda la KitKat con il suo “Have a break, have a KitKat”, a un’intensa attività lavorativa bisogna alternare momenti di puro nulla. Sicuramente bisogna esser bravi a bilanciare tra lavoro e ozio, ma proprio per questo il piccolo manuale di Jerome può esserci molto d’aiuto.

Dove praticare l’ozio

Il nostro autore britannico è molto meticoloso nella sua trattazione, nonostante a volte possa sembrar di no. Per questo suddivide l’argomento dell’ozio in diverse categorie a ciascuna delle quali dedica un capitolo. Alcune sono davvero buffe: la bolletta, le camere ammobiliate, gli abiti e il portamento, perfino i cani e i gatti.

Riporto di seguito un breve elenco delle categorie più interessanti.

  • L’amore
  • La vanità
  • Il tempo [atmosferico]
  • La timidezza
  • I bambini 
  • Mangiare e bere 
  • La memoria

Prendiamo ad esempio l’ultimo punto, la memoria. Questo è un luogo davvero strano, ci dice l’autore, in cui i ricordi vagano pigramente, a volte si posano e si cementano, altre sfumano e addirittura scompaiono. Qui l’ozio regna sovrano, ed è un bene: «Tutto sembra piacevole, attraverso il velo del tempo che addolcisce i contorni. Anche la tristezza passata ci sembra dolce». È come se la nostra mente fosse troppo pigra per ricordar tutto, e dunque si mettesse a selezionare solo alcuni ricordi e a renderli tutti più lievi che può. Sembra quasi di possedere un dono.

[…] mentre le nostre piccole vite affondano dietro di noi, nell’oscuro dell’oblio, le cose più leggere e più liete son le ultime a sommergersi, e galleggiano sui flutti, ancora in vista per lungo tempo, quando già i pensieri amari e i dolori brucianti sono sepolti sotto le onde e non ci tormentano più.

Certo, si può essere più o meno d’accordo con questa sua idea della memoria. Ma gli daremo tutti sicuramente ragione per quel che riguarda il mangiare e il bere: «Uno stomaco pieno è un grande aiuto per la poesia, e a dire il vero, nessun sentimento di nessun genere potrebbe reggersi su uno stomaco vuoto». Per poter riempire uno stomaco come si deve bisogna essere rilassati. E per essere rilassati non c’è miglior terapia dell’ozio.

Tirando le somme

Una domanda che si insinua a questo punto è: dobbiamo prendere sul serio le parole di Jerome K. Jerome o considerarle soltanto una burla? Questo è sicuramente un libro scritto con le migliori intenzioni possibili: far divertire e farsi qualche domanda. Non bisogna farsi ingannare dalle parole dell’autore, che rifiuta qualsiasi responsabilità morale. Anzi, è proprio attraverso questo suo continuo scherzare che meglio si può imparare qualcosa di più su noi stessi. Ma per non dimenticarci con chi abbiamo a che fare, bisogna qui concludere con la dedica che Jerome scrive all’inizio del libro:

Alla carissima e prediletta

AMICA

dei miei giorni belli e dei miei giorni neri,

all’Amica che,

sebbene nei primi tempi della nostra relazione

mi abbia spesso sconcertato,

ha finito poi col diventare la mia più ardente compagna;

all’Amica che,

per quanto spesso io la lasci in disparte,

mai (ora) per vendicarsi mi sconvolge;

all’Amica che,

trattata con voluta freddezza da tutte le mie donne di casa

e guardata con sospetto persino dal mio cane,

è però quella cui maggiormente aspiro,

e in cambio pare impregnarmi sempre più

della fragranza della nostra intimità;

all’Amica

che non mi rinfaccia mai i difetti,

non mi chiede mai danaro in prestito,

e non mi parla mai di sé;

alla compagna

delle ore oziose, alla consolatrice delle mie pene,

alla confidente delle mie gioie e delle mie speranze,

alla mia vecchia e gagliarda

PIPA

questo libriccino

è

dedicato

con gratitudine e affetto.

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