Paolo Nori è uno scrittore italiano, laureato in Lingua e Letteratura Russa. Da giovane lesse “Delitto e castigo“: una folgorazione e una ferita che “Sanguina ancora“. Paolo Nori, con questo romanzo -conversazione cerca di renderci partecipi del perché, mentre ci narra de “l’incredibile vita di Fëdor M. Dostoevskij”.
Esistono recensioni più tempestive di questo libro. Ma io l’ho letto ora, a guerre esplose ai confini dell’Europa e, più recentemente, sulle sponde del mediterraneo. E questo cambia qualcosa …
Sanguina ancora: un titolo oggi disturbante
Di sangue ne sta scorrendo alle porte dell’Europa e sulle sponde del Mediterraneo (e nelle cento altre guerre dimenticate o esorcizzate del resto del mondo) e i media ce lo riversano a fiumi dagli schermi della nostra vita digitale. Ora ti ci metti pure tu, Paolo, a spargerne altro, sia pure metaforicamente, pur di testimoniare in maniera palpitante la profondità della ferita (o pensi siano stimmate?!) inferta al tuo cuore sensibile dalla letteratura russa! In particolare, da quello stoccatore letterario seriale di Fëdor Michajlovič Dostoevskij.
D’accordo, quando l’hai pubblicato nel 2021 la Russia era per te il richiamo caldo e avvolgente della sua letteratura e Vladimir Vladimirovič Putin non aveva ancora confermato che alcuni figli della Grande Madre coltivano una storica tendenza dittatoriale e sanguinaria. E Hamas e Israele non stavano ancora imponendo al mondo la terribile quotidiana cronaca degli orrori contrapposti.
Paolo Nori: perché Dostoevskij innamora
Ami molto le ripetizioni, Paolo. Ripetizioni che diventano talvolta ossessive anche se mitigate dall’autoironia, come la constatazione che “una parte dei lettori di questo libro non sia laureata in letteratura russa”. Ma che bizzarria!
Devo però ringraziarti perché mi colmi diverse lacune: ero convinto, ad esempio, che il fatto che tutta la letteratura russa che conoscevo era otto o novecentesca dipendesse da una mia colpa. Invece no! Il tuo libro chiarisce che in realtà non esiste una letteratura russa precedente se non di tipo imitativo, prevalentemente francese.
Come pure ti ringrazio perché demolisci un luogo comune: che sia una letteratura pesante, complessa, difficile da leggere e da capire. Falso! I grandi scrittori russi ci raccontano di noi e, nonostante la distanza considerevole di tempo e di spazio, ci fanno rivivere in profondità cose che abbiamo vissuto, sperato o temuto, rimescolando storie, emozioni e interpretazioni.
Per questo Fëdor Michajlovič Dostoevskij ti ha ferito, per questo innamora.
[Perché do del tu all’autore? No, non lo conosco personalmente, ma rimproveri e ringraziamenti sono più empatici con il tu.]
Tra confidenze, passioni e paralleli russo emiliani
È anche un flusso di coscienza questo libro e Paolo ci racconta di una moglie a intermittenza (unione-separazione-riunione), una moglie alla quale ha affibbiato un soprannome che fa un po’ sorridere un po’ incute soggezione (Togliatti), e di una figlia scorbutica al telefono per DNA familiare, chiamata “la Battaglia”: ora che le donne di casa fossero un po’ incazzose e incazzate … è pure comprensibile!
C’è anche il racconto del suo rapporto con Antonio Pennacchi, personaggio fuori sistema nel mondo dell’editoria; ma soprattutto persona vera che basculava sempre tra sarcasmo e auto ironia. Capace il “fasciocomunista” Pennacchi di entrare in relazione con chiunque senza filtri e tentennamenti, soprattutto quando riteneva di dover assolvere alla missione di svelare a un altro, in questo caso Nori, qualcosa del sé che l’altro non aveva ancora capito.
Tra un incidente pseudo mortale e quello successivo, alternando citazioni russe e lessico familiare, Paolo disegna la sua storia di famiglia in interni ed esterni. Il rapporto col padre e la madre, la sua vita nomade e quella stanziale, l’innamoramento che gli cambierà la vita a quindici anni: non per una donna, ma per un libro usurato e senza copertina. Delitto e castigo sarà per lui l’alfa e l’omega.
Non si risparmia nel tentativo di farci percepire la bellezza della scrittura di Dostoevskij, anche della sua musicalità. Prova ripetutamente a passarci l’estasi della “trottola sonora”, nella lingua originale, di questo passaggio del monologo dell’Uomo del sottosuolo: “Io sono un uomo malato …Un uomo cattivo, sono. Un brutto uomo, sono io. Credo di essere malato di fegato”. Ma è consapevole che in italiano non rende né l’armonia né la ricchezza di significato e significanti. Non c’era riuscito Tommaso Landolfi, altro traduttore di Memorie del sottosuolo, non ci riesce neanche lui. Paolo ritiene di aver aggiunto qualcosa con la sua traduzione, ma per l’estasi del lettore occorrerebbe leggerlo in russo; non lo dice, ma è tra le righe.
Il libro è pieno di contaminazioni affettivo-elettive, incursioni tra letteratura russa e vita emiliana, paralleli familiari a distanza di un secolo e mezzo. È all’Osteria Bartolini di Bologna che, grazie a un’osservazione della moglie, Paolo scopre di amare profondamente il fratello Emilio così come Dostoevskij scopre, all’ultimo minuto e sul patibolo, di amare intensamente il fratello Michail.
Beh … certamente i due momenti hanno una drammaticità oggettivamente diversa. Quella di Paolo non era l’ultima cena. Ma, alla fine, Fëdor verrà graziato all’ultimo istante: lui scenderà dal patibolo, Paolo più modestamente si alzerà da tavola ma entrambi con la consapevolezza acquisita dell’amore fraterno. E vi pare niente?
Paolo Nori: uno spacciatore di sostanze letterarie
Nori è innamorato delle atmosfere della San Pietroburgo di metà Ottocento: luogo mitico, intellettualmente stimolante, peraltro con un clima di merda. È lì che “Dostoevskij, che ha 23 anni, va a trovare un suo amico e si mettono a leggere Gogol e lo leggono fino alle 4 del mattino.” Tanto innamorato che prova a riproporre con i suoi allievi, in contesti attuali, questi cenacoli di letteratura russa.
Riconosce che, nella letteratura russa, bisogna superare, all’inizio, la complicazione dei nomi dei personaggi: tra patronimici, diminuitivi, vezzeggiativi, soprannomi a volte ci si perde. Insomma, un po’ di riscaldamento iniziale, prima di scendere sulla pista sconfinata di quella letteratura, ci vuole; poi non ne esci più.
E capisci che chissà quanta bellezza ti sei perso nella vita, ma questa no:
magari solo brandelli o pezzi consistenti, ma l’hai afferrata per tempo.
Un’ ammiccante e avvolgente bonomia emiliana con i suoi antipastini letterari. Nori, vero spacciatore di sostanze letterarie, ci consente di mettere a fuoco il nostro rapporto con la letteratura russa. Ora io non sono ferito, non sanguino come Paolo, ma guardo a quella letteratura con maggiore consapevolezza.
Perché leggere “Sanguina ancora”
Ne ho già elencati vari di perché, implicitamente. Ora sintetizzo ed esplicito:
- Nori sa essere profondo con leggerezza: è una conversazione con il lettore che lascia il segno;
- il suo libro aiuta a capire che, riconoscendo l’irrinunciabilità dell’Heritage russo, non mettiamo in discussione la solidarietà con l’Ucraina. La mia condanna dell’aggressione della Russia di Putin è senza se e senza ma; non cancella però la mia convinzione che quel patrimonio culturale appartenga all’umanità e che sarebbe un errore sospenderne la frequentazione fino “a quando sarà finita la guerra”, come sento ripetere.
Perché è proprio in quel patrimonio culturale che ci sono le ragioni e le motivazioni perché terminino l’orrore e la follia.