“Condividiamo quanto si è detto nella riunione precedente” non significa più la stessa cosa che significava vent’anni fa: in una assemblea sindacale, tanto per collocare la scena tra le quinte impolverate del secolo scorso, questa frase avrebbe indicato l’accordo di un gruppo di persone con analisi politiche già elaborate da altri.
Alcuni mesi fa, ho udito la stessa frase usata in modo diverso: qualcuno stava annunciando che sarebbe stato messo a disposizione degli altri convenuti un resoconto di un incontro preparatorio alla sessione in atto.
Così è successo che “condividere” è diventato una traduzione dell’inglese “to share” mentre prima somigliava di più al campo semantico di “to subscribe” la cui sottile differenza è stata utilizzata anche in metrica da Sting.
Il passaggio è in corso, ma è già evidente che vincerà il significato comunemente attribuito nel mondo della Rete e in particolare dei Social Network. Le persone più à la page, quando condividono, in genere mettono a disposizione di altri pensieri, immagini, suoni di cui si sentono in qualche modo già partecipi a propria volta. Quest’uso era già attestato come “condividere il pane”, condividere beni materiali in senso solidaristico.
Derrick de Kerckhove illustra le potenzialità dell’inconscio collettivo digitale generato dalla condivisione, come una strada verso una maggiore trasparenza. E cita le primavere arabe o il movimento Occupy, generati dalla condivisione di sentimenti di indignazione. Ma l’espressione di un sentimento non perde la sua natura soggettiva nemmeno quando viene condivisa.
Analizzando il movimento insito nella forma transitiva del verbo “condividere”, si rileva infatti un dettaglio non immediatamente evidente: mentre per “condividere un’idea politica” il singolo con la sua identità si spostava verso un’area concettuale costruita da altri per entrare a farne parte, per “condividere un contenuto in rete”, il soggetto estroflette un frammento della propria identità, nella speranza di essere riconosciuto. Il riconoscimento arriva in genere sotto forma di like.
C’è una certa differenza tra “fare proprio” il punto di vista di un altro e “mettere in comune” una propria idea. E credo che la differenza sia più o meno la stessa che passa tra argomentare e promuovere commercialmente.