Il coraggio è la dote degli eroi. L’etimologia la lega al cor latino e passa per il provenzale corage.
L’eroe non è chi non ha paura, infatti, ma chi ritiene che ci siano moventi da preferire alla ritirata quando si teme per la propria incolumità. Qualcuno chiama quei moventi “valori”: onore, libertà e giù giù fino all’Italia Unita e alle Terre Irredente.
Per alcuni millenni, concetti come questi, al di là del dubbio potere euristico ad essi ascrivibile, sono stati alla base dell’educazione etica degli esseri umani, le unità di misura su cui prendere gli estremi della propria identità. Fino ad una quarantina d’anni fa si scrivevano anche con l’iniziale maiuscola, nella bella grafia dei quaderni delle elementari, ultimo retaggio – avvertito come fastidioso cascame del passato dai genitori progressisti – della pedagogia del ventennio.
Gli eroi, coloro che sono dotati di coraggio, nel momento estremo delle scelte incarnavano tali valori a detrimento financo della propria incolumità personale. E servivano d’esempio alla comunità.
Ma di valori, in giro, non c’è traccia ultimamente. Dopo l’esplosione dell’idea di comunità fondata su un sistema valoriale in favore di una più laica massa di consumatori, non si vede in nome di cosa l’eroe dovrebbe sacrificarsi. Certamente la famiglia, l’impresa, il nuovo Iphone, l’accoglienza ai profughi, il veganesimo, lo street food, la celiachìa, e la sharing economy sono ben poco adatti a scaldare il cor e ad aiutarci a buttarlo oltre l’ostacolo.
Chi li interpreta manca di quella nobiltà tipica di chi si distacca da sé. Tuttavia come un fantasma resta la parola nell’uso. E si distorce, fino a diventare grottesca e sottilmente oltraggiosa: “Coraggio!” detto agli svogliati e ai riottosi serve per dar loro una svegliata, che si impegnino, una buona volta, per fini individuali, sì, ma altrui.
Quando vi apostrofano così, sotto sotto c’è anche una velata allusione alla vostra incapacità di darvi da fare. Che i fini per cui darsi da fare non siano motivazioni così stringenti, ad una analisi più rigorosa, non è argomento da toccare. Una società in cui l’identità individuale è autoriferita – e lo è legittimamente – non genera eroi e non necessita di coraggio, al più gente che ha perso di vista il proprio fine personale tra le parole vuote di uno storytelling qualunque. Checché ne pensi Virginia Raggi.