Un tempo usato quasi esclusivamente per riferirsi a persone di alto rango, il termine “eccellenza” qualifica oggi solo i picchi qualitativi della produzione industriale di beni e servizi. In genere viene usato a fini propagandistici politici, in coppia con l’immancabile aggettivo “italiane”: quando sui media si parla di “eccellenze italiane”, il sottinteso è enorme e in gran parte – come di consueto, nel dibattito pubblico ai tempi del marketing – malinteso. Il dato innocente che la coppia nome aggettivo “eccellenze italiane” comunica è che ci sono delle aziende il cui proprietario – o i cui proprietari – sono di nazionalità italiana, che detengono con una certa stabilità quote del mercato globale di un determinato bene o di un determinato servizio.
Fin qui tutto bene, verrebbe da dire. Ma se lo scopo è raccontare “l’Italia che riparte” siamo decisamente fuori strada: le parole oltre a dire ciò che dicono, più spesso segnalano con forza ciò che sottintendono, come non si stanca di ripetere Tullio De Mauro, nell’occasione per redarguire il progetto di riforma della scuola del governo attualmente in carica. Il fatto è che le eccellenze sono – appunto – tali, e come tali non ci dicono nulla dello stato dell’economia del paese, della distribuzione dei redditi, del patrimonio materiale e immateriale. È una forma distorta di metonimia, che prende un singolo elemento come specchio dell’intero sistema, in un eccesso neo-platonico. Sarebbe la stessa cosa parlare dell’eccellenza della letteratura albanese nel suo complesso, (che non conosco e su cui non ho un’opinione particolare) citando Ismail Kadare.
Ciò che in effetti viene sottinteso, quando si parla di eccellenze italiane è proprio che il sistema economico-sociale è bloccato, come per altro indicano indicatori a più ampia base statistica, come ad esempio il numero delle nascite o l’indice di Gini di distribuzione del reddito, e che dunque non ci resta che eccellere. Non tutti siamo destinati ad eccellere, anzi, per definizione l’eccellenza è destinata a pochi. La ragione dell’eccellenza è nel distaccarsi da prassi e contesti ritenuti non “competitivi” e in cui galleggiano a fatica tutti gli altri. Quindi le “eccellenze” ci segnalano che il resto dell’economia non ce la fa, più che la via per farcela. Le concrezioni retoriche che promuovono e magnificano l’eccellenza sottintendono, in ultima analisi, la domanda angosciosa sulle democrazie mature, “Ce la faremo a non soccombere al mercato globale?”, e la risposta che danno purtroppo è una sentenza: “Solo pochi, le eccellenze”.