Ci sono gli Indignados spagnoli. Che più o meno sono degli indignati. Da noi la palma dell’indignazione spetta con diverse incollature di distacco dai secondi al Movimento 5 Stelle.
E poi ci sono i vari populismi di destra che se ne alimentano con una certa voracità.
Alla base, mi pare, ci sia uno scollamento nell’esserci, nel Dasein, in termini Heideggeriani, cioè quella condizione umana in cui si è nel tempo e nella condizione in cui si è. Senza residuo e senza avere opportunità ulteriori nell’accostarsi ai temi fondamentali della metafisica e dunque provare a capire qualcosa di chi si è, dove si va e perché lo si sta facendo.
Di fatto né tra chi si indigna, né tra chi è oggetto di indignazione, nessuno assume su di sé la fatica del concetto. Gli indignati predicano una primigenia purezza, come se si potesse prescindere dalle condizioni generali di una civiltà nel governarla…
“Prova te a governartela, l’Italia o l’Unione Europea”, de ‘sti tempi, chioserebbe il maestro di vita inventato da Gabriele Salvatores in Mediterraneo, il sergente Nicola Lo Russo che un po’ indignato, già nel 1942, lo era già.
“Che cos’è questo conflitto dentro l’essere?” – tromboneggia un altro personaggio cinematografico, negli interminabili sproloqui heideggeriani anch’ essi, de La sottile Linea Rossa di Malick.
Credo che l’indignazione sia un errore di prospettiva. Viviamo in un’ epoca in cui l’informazione, fattasi anch’essa merce, non cessa di intrattenerci in un flusso continuo. Lo scopo di questo intrattenimento, mascherato da cosa seria, è darci delle emozioni da poco. Per dirla con l’indimenticabile Anna Oxa che, forse inconsapevolmente, nel testo fossatiano citava Cheap Thrills di Janis Joplin.
L’emozione da poco che il flusso ininterrotto di news riesce a darci è proprio l’indignazione, che ha dietro la paura e che precede di poco la rassegnazione.
Ma anche per chi è oggetto di indignazione, la situazione non è migliore. La generazione dei baby-boomer sta invecchiando e presto morirà: ha saldamente nelle proprie mani il potere economico e politico. È la prima generazione di convinti individualisti senza residuo, che probabilmente sente la fine vicina. E questo sì, li fa indignare. Lo sostiene Adam Curtis, uno dei migliori filmmaker inglesi. Insieme ad altre tesi molto interessanti sul flusso di informazione che ci rende idioti.
Questo per dire che viviamo immersi in un flusso che non fa mai analisi e cultura, che non costruisce, che ci lascia esausti e paghi come un’emozione da poco. Non ci sono più costruzioni che ci diano un senso. A questo siamo rassegnati.
Esibire la propria disillusione è l’unico atteggiamento premiante sui social network, specchio inerte dell’epoca, più che motore di ricerca di un senso qualunque. Ma non possiamo perdonare ai nostri governanti di essere nella nostra stessa condizione. E allora non ci resta che indignarci, al caldo della nostra illusione di non essere parte della medesima assenza di senso.
Gaber insieme a Luporini indicava una via. La canzone, splendida, si chiamava “E tu mi vieni a dire”. Ma sono passati tanti anni.
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