Come di consueto ci occupiamo non della grammatica, ma della retorica: e “Innovazione” è probabilmente il centro della retorica contemporanea. Che poi oggi la retorica si chiami “Storytelling” e i suoi scopi ultimi siano talmente inaccettabili che da retorica si riduca a mera arte di ottenere il consenso, sono problemi che stanno a monte delle Parole.
L’innovazione non ha oggetto, non ha scopo altro che sé stessa, essendo un bene di per sé, e non ha una prassi perseguibile: volta per volta è l’idea geniale, in genere di un imprenditore, a creare “innovazione”. Corifei conclamati dell’innovazione sono i giovani che creano applicazioni per smartphone, chi decide di condividere casa, auto, lavoro perché non ce n’è per tutti, etc, chi inventa un lavoro allungando una filiera al termine della quale produttori e consumatori sono già esausti, cose come “mettere in relazione” cose persone…
Ma l’uso principale dell’Innovazione è spronare chiunque ad abbandonare vecchie prassi, obsolete, stantie, generalmente perdenti, poco ecologiche, anti-estetiche: l’innovazione è quasi sempre qualcosa a cui tendere, non un moto a soddisfare esigenze reali, ma scopo in sé. A occhio stiamo esaurendo – a forza di “innovare” – il novero delle ipotesi plausibili e presto per farlo ci rivolgeremo a prassi improbabili o impresentabili.
Ora, l’innovazione, a ben guardare, può avere alcuni scopi reali, fuori della retorica: sostituire beni di vecchio tipo con beni nuovi, ad esempio, più efficienti, meno inquinanti, più attraenti. Che poi il saldo dell’impatto ambientale, dovendo smaltire la massa di vecchi ordigni passati in disuso, sia comunque negativo, non conta; ridurre i costi di un bene o di un servizio, automatizzando un procedimento, escludendone il lavoro umano, mettendo in relazione (altra parola magica della stessa galassia di non-senso) produttori e consumatori; rendere più facile qualcosa.
Nel campo del lavoro è raggiungere una maggiore efficienza, se possibile al riparo da obsolete proteste, vetusti scioperi, anti-estetiche esigenze umane.
A ben vedere se guardiamo alle maggiori innovazioni degli ultimi anni, penso agli smartphone, ai tablet, alla rete ultra-veloce in mobilità, il gps, l’esplosione del commercio on-line, mi pare che abbiano reso molte cose più facili da fare da soli, senza chiedere a nessuno. Senza entrare in relazione. Senza avere qualcuno con cui prendersela se i prodotti hanno un’obsolescenza programmata che sfida qualunque tipo di logica economica ed ecologica. “Comodamente a casa tua”. Ma siccome lo scopo finale di ogni innovazione è in ultima analisi sempre moltiplicare i profitti, mi sembra che l’isolamento a cui questo genere di “innovazioni” comporta, che si accompagna col desiderio spasmodico di “fare rete” con gli altri (artificio inutile, se si perdono le identità comuni di riferimento), “Innovare” significhi semplicemente ancora una volta trasferire il potere da soggetti collettivi a unità centralizzate che controllano tutti i flussi di dati con cui ci trastulliamo nell’illusione di essere più liberi.
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