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PAROLE AL VENTO.
Intrattenimento

Nessun operatore della comunicazione troverà nulla di male nell’”Intrattenimento”. Anzi, gran parte delle attività comunicative oggi debbono essere declinate secondo questa – apparentemente innocua – espressione:  è più chiaro in inglese, in cui il suffisso “-tainment”  (edu-tainment, info-tainment)  ha colonizzato con discrezione (sospetta) molti generi dell’audiovisivo. Un professionista della TV, in linea di massima, non ha alcuna difficoltà ad ammettere che  il suo mestiere sia “intrattenere” e che abbia a che fare con “divertire” e con “distrarre”.

Ma già un’occhiata superficiale alla definizione di un qualunque dizionario etimologico dovrebbe destare un approccio meno indulgente: “tenere” “intra” sono due parole latine che combinate propongono sensi come “tenere a bada”, “ritardare”, “far indugiare”.  Se – secondo l’abusato adagio di Marshall McLuhan – assumiamo che “il mezzo è il messaggio”, ci apparirà evidente come le caratteristiche di tutta fruizione televisiva si siano allineate nel tempo – cioè con l’assunzione di una posizione paradigmatica della TV commerciale – verso l’intrattenimento, espellendo e marginalizzando altre funzioni, come quella educativa, assunta come fondante, ad esempio, negli operatori broadcast pubblici europei nel secondo dopo-guerra.

Le tecnologie digitali da utilizzare in mobilità, come consolle portatili per giocare, cellulari, tablet e affini, assommano ad alcune funzioni pratiche (trovare una strada, utilizzare un servizio di car-sharing, fare una telefonata, inviare una e-mail) una serie di funzioni che pietosamente vengono chiamate “ludiche”: giochi (anche d’azzardo), porno o dating, social-network, che hanno portato l’intrattenimento in ogni momento della vita quotidiana, piegando ad esso qualunque contenuto, come ad esempio le testate giornalistiche on line, in cui le notizie – adeguate nell’approfondimento alle esigenze di chi ha ormai fatto l’abitudine ad “essere intrattenuto”, dunque brevi e superficiali –  devono attrarre e urlare per aspirare ad essere “condivise”. Ma condividendo un “contenuto”, non si fa che cercare un’approvazione, che diventa il vero contenuto.

L’intrattenimento ha come caratteristica di dover essere reiterato, di essere privo di contenuto, e di prestarsi – in ultima analisi – a “divertire”. Di far passare il tempo senza che i pensieri e le esistenze vengano significativamente deviate.

Ma per questa definizione ci sono due controindicazioni non irrilevanti: la prima è che la nostra necessità di essere intrattenuti ha un costo e sostiene un settore produttivo piuttosto sviluppato e questo somiglia sinistramente al mercato della droga.

La seconda la prendiamo direttamente da Dante: che “divertirsi” non devii affatto le nostre vite, probabilmente è un’illusione che si cela dentro la parola stessa: ciò che “diverte” “volge altrove” e rende “diversi”, cioè empi e corrotti:

“Ahi Genovesi, uomini diversi
d’ogne costume e pien d’ogne magagna,
perché non siete voi del mondo spersi?”
(Inferno, XXXIII, 151-153)

Divertente, no?

Cover: Silvia Marseglia

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