Ok, ce ne vorrebbe di più. Siamo tutti d’accordo. Come di consueto le parole umane dicono ciò che è e ciò che non è – con buona pace di Parmenide: ciò che si tace quando si parla di merito è la scala di valori su cui verrà misurato. Come se costituisse un valore in sé. Cosa significa che qualcuno è più bravo di un altro?
Se non siamo bambini siamo certi che criteri assoluti non esistono, per cui una buona risposta è che uno è giudicato più bravo quando è più funzionale alla struttura in cui e da cui viene giudicato.
È interessante, in proposito, valutare cosa intendano le banche per “merito” da premiare con la concessione del credito: il linguaggio dei manager bancari è il principale pilastro dell’ideologia che è implicitamente sottesa dall’attuale sistema economico. Il merito per la banca è semplicemente la “solvibilità”. Il che porta al vecchio adagio anti-finanziario per cui i soldi si prestano a chi già ce l’ha.
Ed è esattamente così: di fatto la “meritocrazia”, persino quando si afferma tramite procedure blindate, non può che perpetuare il sistema vigente e i suoi meccanismi più minuziosi. In altri termini la “meritocrazia” può promuovere qualunque valore, tranne quello che comporti un cambiamento: i giudici e i loro criteri per concedere il credito o un passo ulteriore nella gerarchia, non possono che rispondere ai valori su cui si fonda il loro potere. Nessuno che abbia l’incarico di giudicare il merito di altri, dunque in una posizione oggettiva di potere in una data struttura (tralasciando per misericordia quella soggettiva), promuoverà chi vorrebbe apportare delle modifiche, o mettere in discussione l’organizzazione, se non per rafforzare il privilegio e la solidità dell’organizzazione stessa.
Ci troviamo così ad aver a che fare con un piccolo paradosso: la “meritocrazia” favorisce la conservazione. Solo con un’organizzazione del lavoro aperta e orizzontale, che attutisca il potere dei vertici, c’è speranza di rendere le strutture più duttili e capaci di risolvere problemi sempre nuovi. A riguardo va letto L’avvento della meritocrazia, di Michael Young (1915-2002), acuto e ironico economista inglese, che organizza una distopia ambientata nell’Inghilterra del 2033. È stato pubblicato nel Regno Unito nel 1958. Tre anni dopo è uscito in Italia da “Edizioni di Comunità”, quelle fondate da Adriano Olivetti.
Cover: Giulia Antonicelli