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PAROLE AL VENTO.
Sfide

Sfide è il nome di un fortunato programma sportivo della Rai, autrice Simona Ercolani. La capacità narrativa della redazione ci ha fatto di volta in volta appassionare alle parabole di calciatori, cestisti, tennisti, atleti di tutto il mondo, che per l’aura delle loro gesta hanno a buon diritto declinato nella contemporaneità televisiva le leggende degli eroi classici.

Senza alcuna ipoteca etica al di là dell’eccezionalità delle imprese, esattamente come gli archetipi, i campioni dello sport raccontati da Sfide incarnano i tipi umani più diversi, elevandoli all’empireo della fama e della gloria.

Così sfilano, l’uno accanto all’altro i cattivi e i buoni, il dionisiaco Maradona e l’apollineo Emil Zatopek, il motivatissimo e grintoso Pietro Mennea e il dandy disincantato George Best. E non solo i singoli assurgono al cielo, a volte è la loro unione a diventare il nucleo narrativo: il Real Madrid di Puskas e Di Stefano come la falange greca a Maratona, il Wunderteam austriaco guidato da Matthias Sindelar contro i tedeschi come i 300 di Sparta di fronte alla marea umana dei Persiani.

Che cosa ci ammalia delle imprese dei nostri eroi, qual è il senso delle loro sfide, che cosa sfidano, da chi o da che cosa sono sfidati? Probabilmente il fatto è che non sono chiamati a sconfiggere altri esseri umani, per così dire la concorrenza, ma a trasumanare superando la loro stessa natura umana: divina abnegazione, divina lealtà, fame, perversione, eroismo autodistruzione ben oltre il semplice orizzonte della disciplina sportiva che praticano.

Sono cioè fuori dalla portata dell’umano o, quanto meno, le loro gesta hanno qualcosa di abnorme che li pone come attori di un palcoscenico che non è quello comune e che i comuni mortali chiamano Storia, con la S maiuscola.

Allora, quando una nota agenzia di lavoro interinale parla di sfide del mondo del lavoro, a cosa allude? Probabilmente a quel pollaio di lacrime, miserie e meschine slealtà, punteggiato raramente da piccoli eroismi, a cui gli dei guardavano con sufficienza. Tra il prosaico proscenio del vostro lavoro e una vera sfida, passa la stessa distanza che c’è tra una sitcom preserale e un poema omerico.

Così se riescono a convincervi che quelle che vi aspettano sono sfide, rischiate di non capire in che campionato state giocando. E, per scimmiottare le leggende, rischiate di finire fuori dalla Storia, e il passo d’anapesto dell’esodo dalla vostra personale tragedia vi sembrerà sarcastico in modo intollerabile.

 

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