È la “parola nuova” per eccellenza della asfittica scena politica italiana, in cui di politica – come emerge dalle argomentazioni nei talk show serali e negli editoriali dei giornali filogovernativi – ce n’è poca. Ed ecco che a coprire il vuoto, spunta, come un’infezione in una ferita, lo Storytelling: alla lettera significa “raccontare una storia”, ma nella sua accezione ampia vale “descrivere un orizzonte generale verso cui un dato o una decisione politica tendono”. Ne parlava in modo acuto questa estate Wittgenstein.
È una prassi che deriva dall’ideologia della nostra epoca, il marketing: ad un certo punto, più o meno all’inizio degli anni sessanta, quando il mercato degli elettrodomestici iniziava a maturare nel mondo occidentale, si è capito che non era più possibile vendere merce sulla base di esigenze reali, né di desideri – in genere il desiderio umano non contempla nella gran parte dei casi il secondo televisore, o cibo confezionato, o scarpe di gomma di cattiva qualità prodotte da schiavi – e che la motivazione all’acquisto dovesse essere mossa inserendola in un orizzonte artificiale che la giustificasse.
Così cui i vari marchi hanno iniziato a proporsi come “portatori di una visione del mondo”, “portatori di valori”. Ecco, lo storytelling è sostanzialmente questo: inventare un mondo che non c’è, per vendere qualcosa. Così, in politica come nel marketing lo storytelling è necessario quando manca una necessità materiale alle azioni o ai prodotti. Pensate ad esempio ad un modello di sneakers che costano alla produzione 4 euro e 180 al dettaglio. Oppure a nuove politiche neoliberiste che svincolino i capitali e devastino ulteriormente il wellfare state. Per raccogliere consenso a cose del genere bisogna inventare una storia. Una delle regole cardine che fanno del racconto di storie un’attività umana dignitosa è mettere in discussione i fini delle azioni. Il fine, nel caso di una azienda è il profitto, di una classe dirigente il consenso. Fine della storia. E fine della dignità dello storytelling. Che a questo punto può essere tradotto – più correttamente – in “Raccontare storie”, nel senso di mentire.
Cover: Giulia Antonicelli