Questo post avrebbe potuto intitolarsi senza remore “La fine della privacy” (per chi ancora creda che questa possa esistere al giorno d’oggi. E’ notizia di questi giorni che Viber, nota app multipiattaforma di messaggistica e VoIP, è stata oggetto di un attacco hacker ad opera del Syrian Electronic Army (SEA) pubblicando sul sito dell’app un messaggio con il quale si informavano gli utenti di essere spiati da parte del governo di Tel Aviv invitando gli utenti ad eliminare l’applicazione prodotta dalla società che ha sede proprio il Israele. Il messaggio diffuso dal SEA mostra una immagine che riporta un dump del database Viber dove si vede che per ogni utente vengono salvate informazioni quali Ip, tipo di dispositivo utilizzato, sistema operativo, etc.
Il noto sito di tecnologia Tom’s Hardware (de L’Espresso) spiega:
Avete ancora dubbi sul fatto che la privacy possa esistere (c’è anche un sito che si occupa di dare notizie degli ultimi hack)? Ma certo che esiste! Solo che è cambiato il modo di intenderla. Nel 1933 Walter Benjamin, filosofo, scrittore e critico tedesco nel saggio “Esperienza e Povertà” faceva già riferimento ad una cultura del vetro:
“Vivere in una stanza di vetro: è sempre in questo scritto che Nadja di Breton viene definito come «un libro dove la porta sbatte» e viene narrato l’episodio dell’albergo di Mosca dove gli iscritti ad una setta avevano fatto voto di non soggiornare mai in ambienti chiusi e quindi le loro stanze avevano la porta socchiusa. A questo episodio fa eco l’analisi che Benjamin fa in Esperienza e povertà quando spiega come Scheerbart con il suo vetro e il Bauhaus con l’acciaio abbiano realizzato una rivoluzione nel campo della costruzione degli ambienti abitativi e degli oggetti tanto da poter parlare di una Glaskultur, in cui non si possono lasciare tracce, una Cultura del vetro che trasformerà completamente l’uomo”.
Siamo (finalmente) pronti?
Luigi Cristaldi | Bake Agency