Dal jazz modale alla griot house, se c’è un’etichetta che oggi rappresenta una mappa dei suoni dell’Africa, specie di quelli con chiare influenze jazz, è la On The Corner Records.
Il progetto, guidato dal DJ, produttore nonché antropologo Pete Buckenham, nel giro di un paio di anni è diventato un’esperienza di successo che ha già ottenuto significativi riconoscimenti. Oltre a quello del pubblico e degli appassionati di suoni di derivazione “nera” sempre più numerosi, proprio qualche giorno fa la label di South London e il suo fondatore sono stati premiati ai Worldwide Awards (la classifica degli ascoltatori dell’omonimo programma condotto da Gilles Peterson della BBC) come miglior etichetta discografica indipendente dell’anno.
Un riconoscimento prestigioso che arriva grazie al lavoro di tutto il team dell’etichetta e dell’approccio quasi da etno-musicologo di Pete Buckenham, dal suo background culturale e della sua visione tutta particolare della musica di domani.
Un concept, quello della label inglese, che traspare da tutte le release, quasi esclusivamente in vinile e particolarmente curate dalla qualità della registrazione fino all’artwork, senza tralasciare la proposta artistica sin dall’inizio improntata alla ricerca dei suoni che diano un’identità ben definita.
È grazie anche a questo approccio che nascono progetti di grande spessore artistico come il collettivo Collocutor, Santuri Safari, Penya, e più di recente, DJ Khalab il quale ha trovato casa proprio “all’angolo” e il cui nuovo album in uscita nei prossimi mesi si preannuncia in piena coerenza con lo spirito dall’etichetta.
Poche settimane fa Pete Buckenham si trovava a Roma e abbiamo approfittato della sua disponibilità per incontrarlo e parlare a lungo di radio, di un viaggio in Mauritania, della nuova scena jazz britannica, di diaspora afroamericana, della piattaforma Bandcamp, di nuove uscite e collaborazioni tra gli artisti dell’etichetta ma soprattutto dalla sua idea di label, dall’ispirazione grazie all’ascolto dell’album Daxaar di Steve Reid Ensemble con Four Tet fino alla realizzazione di una piattaforma indipendente che sostiene e promuove gli artisti e i performer collegati alla On The Corner Records.
Come nasce la tua passione per la musica e quali sono le motivazioni che ti hanno spinto all’idea di creare un’etichetta discografica indipendente con un’identità così chiara e originale?
«Già da ragazzino ho iniziato a esplorare musica sempre diversa e originale, soprattutto grazie alle radio, specie quelle locali che trasmettevano sulle frequenze della provincia di Birmingham dove sono nato. Sono cresciuto ascoltando John Peel e poi mi sono appassionato, sin dagli esordi, al suono della Ninja Tune e della Warp Records perché erano in linea con la mia idea di musica , la quale per suscitare interesse deve sorprendermi.
Aspettavo la programmazione notturna di MTV, quando potevo ascoltare suoni che normalmente rimanevano fuori dalle chart inglesi.
Prima dell’avvento di Internet, tutto ruotava intorno alle radio, ai magazine, soprattutto Straight No Chaser, e ai negozi di dischi che frequentavo ogni settimana (sia a Birmingham che a Londra). Oltre alla passione per la musica ho portato avanti il mio interesse per i temi della giustizia sociale, studiando prima sociologia e poi antropologia con l’obiettivo di laurearmi e diventare un professionista in questo settore. Tanto da partire come volontario e attivista per lunghi viaggi in Africa che mi hanno portato in Mauritania e in altre regioni.
La mia un’idea un po’ strampalata… Così quando sono tornato a Londra e ho iniziato a mettere i dischi, quasi per gioco, il mio idolo era Fela Kuti e posso assicurarti che 18 o 20 anni fa Fela non aveva la popolarità che ha riacquistato in tempi recenti. Così come tante altre icone della musica africana, quale ad esempio All Farka Tourè.
I viaggi e le esperienze di vita, in Africa e nel mondo, hanno influenzato in modo decisivo la mia conoscenza musicale. All’inizio era un lavoro quasi da archeologo ma poi, con l’avvento della rete, tutto è stato più facile e le connessioni hanno preso forma! Da David Bowie (che era e resta per me il punto di riferimento della musica degli anni ’70) fino alla fusion e al jazz del periodo elettrico di Miles Davis (che ancora oggi trovo molto più significativo dello spiritual jazz tornato di moda).
Il jazz del periodo elettrico di Miles era connesso con la strada, era la musica dei giovani afroamericani e del tentativo di rinascita di una classe sociale, per questo rimane per me di grande interesse. Riuscivo a capire il contesto sociale, riuscivo a percepire la sua energia che era rivoluzionaria come lo era stata quella di Chet Baker o di Thelonious Monk, tanto per dirtene un paio. Pensa per esempio a un disco come Bithces Brew: quella per me era musica rivoluzionaria. Come lo era quella di Fela.
È lo stesso metodo di quando ascolto un nuovo artista per me sconosciuto, sono le connessioni con le radici, con quelle origini rivoluzionarie che fanno la differenza: le influenze che sono culturali e vanno oltre i cliché o le etichette di genere (spesso sono superficiali e prive di spessore).
Soprattutto nelle voci contemporanee della musica afro-americana, sono proprio le strette relazioni con le origini che abbattono ogni luogo comune. Pensa per esempio a DJ Khalab (il cui nuovo album uscirà a breve per la On The Corner, ndr) e quello che sta facendo per dare alla musica africana un’interpretazione moderna, rifacendosi se vogliamo allo spirito di Coltrane, di Miles, di Sun Ra, per dare forza alla sua idea di afro-futurismo, affiancando le sue composizioni alle voci e ai field recording originali.»
Parlando della On The Corner, mi interessa capire come selezionate gli artisti da supportare e come l’etichetta entra nella fase creativa della loro musica.
«La On The Corner è un’etichetta giovane che deve ancora crescere ma siamo consapevoli di avere una visione che guarda verso il futuro e questo è dimostrato dalla gente che crede in noi, da chi ci riconosce e investe nella label. Soprattutto gli artisti e i performer che rischiano e affidano il loro lavoro al nostro staff.
Quando ascolto o cerco nuovi suoni da proporre sono realmente ispirato dalla musica in cui le persone cercano di trovare uno spazio per la propria voce o provano a dare il proprio messaggio. E questo si traduce in un’empatia immediata al primo ascolto ed è una sensibilità che ho da quando ero ragazzino (e spero di non perdere). È un insieme di sensazioni che si basa sul mio background di esperienze personali e di studi.
Quando ho deciso di creare un’etichetta indipendente, ho pensato da subito di volergli dare una prospettiva artistica e non commerciale, occupandomi principalmente di definire i contorni di questa identità.»
La On The Corner è una label fortemente radicata nel contesto inglese, con particolare attenzione ai suoni del jazz. Come ha influito questa rinascita del jazz britannico sul successo della tua label e come invece la OTC ha contribuito a questa rinnovata spinta di interesse verso questo genere?
«La nostra etichetta è nata prima che la scena jazz tornasse di moda, tanto negli USA quanto in Gran Bretagna. Purtroppo quando qualcosa diventa hype io cerco di dirottare il mio interesse verso altro e non perché si tratti di artisti o progetti musicalmente poco validi ma poiché, da qualche altra parte, c’è musica altrettanto interessante e oscura da scoprire e da supportare.
Mi piace seguire questa scena, soprattutto quella più eclettica con interessanti esperienze come la El Paraiso Records di Jonas Munk e, a Londra, la 22A Records.
Quest’ultima potrebbe essere definita un’etichetta quasi sorella della On The Corner: ci sono delle caratteristiche comuni, per esempio a livello temporale, anche se loro sono molto radicati nella scena jazz londinese. Lo dimostrano progetti musicali di grande spessore come il brillante quartetto jazz Ruby Rushton e, più in generale, tutte le produzioni firmate da Tenderlonious, (il fondatore della label 22A, ndr).
La On The Corner potremmo dire che è allo stesso punto del percorso della 22a ma con un approccio più aperto alle connessioni, senza preclusioni di generi o stili. Quando dobbiamo prendere in considerazione i demo o delle proposte da pubblicare, vogliamo sentire l’energia di qualcosa di autentico e ci piace interagire con gli artisti su un piano di assoluta parità sin dal primo contatto. È successo così con i Collocutor e anche più di recente, con DJ Khalab.
Il nostro obiettivo non è soltanto pubblicare dischi ma stiamo cercando di sintonizzarci con gli artisti, per parlare la stessa lingua, mettendo insieme la nostra professionalità e il nostro gusto musicale al servizio di un’idea creativa con al centro lo spirito di collaborazione, quella collaborazione che rende tutto possibile.»
Come avviene l’incontro tra te e un artista che ha un’idea da proporti per la On The Corner? Quanto c’è di spontaneo e qual è il metodo che segui per trovare quella necessaria sintonia tra label e musicista, al fine di rendere proficua per entrambi la collaborazione?
«Ti racconto un fatto recente: due anni fa stavamo registrando il disco di Collocutor e tra una take e l’altra io e Magnus Mehta (aka Magnus P.I., percussionista che guida il progetto afro-latin-electronic Penya, ndr) abbiamo iniziato a parlare di ritmo e della sua capacità di saperlo variare con grande naturalezza anche in un progetto jazz come quello di Collocutor. Così gli ho fatto presente il grande interesse che avevamo come label nel lavoro che stava facendo e abbiamo iniziato a collaborare, abbinando alle linee ritmiche dei pattern elettronici. Sono quindi nate le prime 4 tracce confluite nell’EP in cui è presente anche un fantastico remix di DJ Khalab. Magnus è un musicista molto eclettico, sa destreggiarsi con quasi ogni tipo di percussione, ha un’anima afro-colombiana ma è molto londinese nel modo in cui approccia la musica, sia in fase di registrazione che in quella di composizione.
Ti ho fatto l’esempio di Penya per farti capire come alla On The Corner non cerchiamo musica da pubblicare ma è l’energia creativa che già ruota intorno alla label che crea quella scarica elettrica necessaria per dare vita ad un nuovo progetto.»
Gilles Peterson è un fan dichiarato della On The Corner, al punto tale da dare grande visibilità a tutte le vostre release. Per te che hai avuto la possibilità di conoscerlo direttamente, cosa significa essere un DJ “influente” nella scena della musica contemporanea da club?
«Per me tanto John Peel quanto Gilles Peterson hanno rappresentato dei punti di riferimento, soprattutto quando ero più giovane e avevo bisogno di una bussola per orientarmi nel mare profondo della musica. Gilles in particolare ha un gusto musicale eccellente, ha una conoscenza trasversale e riesce a trovare la giusta inspirazione sia dietro la consolle che dietro un microfono di una radio. Sempre misurato e con l’approccio giusto, a mezzanotte della domenica come al primo pomeriggio del sabato.
Buona parte della grande influenza di Gilles è legata alla piattaforma che ha saputo creare in questi anni. Oltre alla sua presenza decennale sulle frequenze della BBC, sono state decisive la sua etichetta Brownswood e più di recente Worldwide FM che è a mio parere uno dei migliori progetti di web radio esistenti. Quello che ammiro più di tutto in Gilles è la sua capacità di essere un incredibile propulsore di successo per gli artisti che supporta. Questa particolare ‘consapevolezza’ è quella che io e gli altri colleghi della On The Corner proviamo a mettere nel nostro lavoro, associata alla convinzione di essere un team che collabora insieme tutti con la stessa visione.
È anche la nostra ambizione quella di essere una piattaforma utile per dare la visibilità e la promozione che meritano agli artisti che supportiamo. Con la sola differenza che Gilles è sempre qualche passo o qualche mese avanti agli altri, quando come un radar riesce a scoprire musica nuova e a proporla in esclusiva radio prima di tutti.»
Puoi darci qualche anticipazione sulle prossime uscite della On The Corner e raccontarci quali sono i progetti musicali sui quali stai lavorando?
«All’inizio del 2018 uscirà il primo disco di Penya: siamo tutti orgogliosi e davvero curiosi di vedere la reazione delle persone nei confronti di un album che ha molte direzioni.
Ci sarà anche una novità dei Collocutor che rimane uno dei progetti più interessanti del momento in ambito jazz e su cui stiamo puntando: il nuovo EP che sarà pubblicato a Febbraio si chiamerà Black Satin.
Poi c’è il nuovo atteso album di DJ Khalab che segna ancora un passo in avanti nel suo personale lavoro di ricerca oltre i confini dell’afro-centrismo con una chiara matrice elettronica, alla quale negli ultimi anni ci ha abituati.
Inoltre stiamo preparando un nuovo progetto dei Dengue Dengue Dengue e, come anticipazione, posso dirti che a breve nascerà una nuova sotto-etichetta, sulla quale sto lavorando insieme a Santuri Safari e Sam Jones.
Come avrai capito ci piace muoverci in più direzioni perché è questo che ci permette di essere al “centro dell’angolo” e avere da lì la visione giusta, sia che ci presentiamo come un sound system sia come un’etichetta.
È curioso come soltanto un paio di anni fa stessi ragionando sul modo di mettere insieme un’etichetta discografica senza particolari basi imprenditoriali e finanziarie, ma con la sola e radicata convinzione che….“Music is the message!” Oggi mi trovo a guidare quasi una piattaforma che rappresenta non tanto una vetrina quanto un laboratorio per gli artisti entrati a far parte della nostra famiglia. Quello che mi interessa, più di tutto, è rappresentare un gradino verso quella visione culturale e antropologica della musica del futuro e questo per me non può prescindere dall’eredità della diaspora africana.
Per la On The Corner sono anni decisivi e dobbiamo sapere muoverci correttamente per mantenere la nostra vocazione e quindi la nostra identità.»
La parola collaborazione, per quanto inflazionata, sembra essere oggi più un mantra che una regola da seguire per un musicista. Quanto sono importanti le collaborazioni, per la tua etichetta, e quanto l’attenzione verso questi incontri creativi rappresenteranno un elemento centrale per il futuro della tua label?
«Anche se non sono un artista vorrei che le collaborazioni tra i nostri artisti fossero naturali e il più possibile fluide. Quando l’energia guida le persone… Allora tutto funziona! E la passione (se c’è) fa il resto e noi lasciamo tutti liberi di esprimersi, senza porre barriere.
La cosa peggiore che puoi fare isolarti. Quello che invece cambia le regole del gioco è l’interazione e lo scambio continuo. Da antropologo, ma con la sensibilità di un DJ e produttore, la mia visione è che la musica può avere un ruolo politico senza necessariamente portare un messaggio o un testo esplicito. È politica la musica con un background forte, un significato chiaro e un’identità.
Pensa a Sun Ra: lui era ispirato dalle sue divinità; era capace di fare musica da quel futuro guardando il presente dell’esperienza afro-americana e rimane, ancora oggi, un esempio musicale anche per come creava i Miti e li utilizzava come metafora per interpretare la realtà.
Alla On The Corner pensiamo che la musica sia importante tanto quanto i significati di una canzone o di un album. Guardiamo prima di tutto alle radici, da dove arriva quella melodia, e nella mia personale visione fondata sulla giustizia sociale l’attenzione per l’esperienza della diaspora afroamericana resterà sempre centrale. Vorrei che questa etichetta diventi nel tempo, sempre di più, un luogo dove gli artisti possano esprimere se stessi e che On The Corner rappresenti un marchio di consapevolezza dei musicisti e dei performer, sia artistica che culturale. Parlo degli artisti che ho il privilegio di supportare e con il quale sto avendo l’opportunità di collaborare.
Insieme a loro continuerò a portare avanti la mia idea di etichetta discografica indipendente che non deve essere una piattaforma per le mie idee ma una piattaforma per le loro idee. È in questo modo che nascono progetti consapevoli come Collocutor e DJ Khalab, che hanno la forza di guardare oltre e io non faccio altro che spingerli proprio dove loro desiderano andare e dove c’è spazio per la loro voce.
Ecco, di questa necessità di essere “self aware” nella nostra epoca ne abbiamo davvero tutti molto bisogno.»